7 ottobre 2010, Rovereto (Trento) — «Mi picchiava e l'ho colpito». Queste le parole di Simonetta Agostini, la donna accusata di aver ucciso il marito Paolo Scrinzi al culmine di una lite con una coltellata al fianco. Inizialmente aveva raccontato che l'uomo si era sdraiato in camera da letto, che lei l'aveva raggiunto e che lo aveva colpito; ma adesso, a mente fredda, probabilmente anche consigliata dal suo avvocato, ha cambiato versione. Si insomma, sei una donna: basta che racconti che ti stavi difendendo dal marito violento e sei a posto, come da copione. Tu fuori di galera come se non fosse successo nulla e l'uomo al cimitero, dove merita del resto perché era un violento. Hanno sempre la scusa pronta. Loro. Ecco perché le carceri femminili son vuote.
La Agostini, nella sua nuova rielaborazione, ha raccontato che l'uomo l'ha trascinata con la forza in camera da letto; nel tragitto però, la donna sarebbe riuscita ad afferrare un coltello. Naturalmente per difendersi dal marito violento e cattivo che altrimenti l'avrebbe sicuramente uccisa. Nel momento in cui erano finiti sopra il letto, lei si era trovata a cadere sopra di lui e in quel momento lo avrebbe colpito, senza alcuna intenzione di ucciderlo, con quell'unica coltellata risultata fatale. Una legittima difesa insomma, quella di aver afferrato il coltello, e ciò che è successo dopo è stato accidentale. Insomma, alla fine è sempre colpa dell'uomo; sia mai che una donna uccida freddamente, quando si è mai sentito. Del resto, le omicide sono tutte malate, o sono state costrette ad uccidere per legittima difesa. E questo lo sanno bene gli avvocati, che a mali estremi chiedono sempre la perizia psichiatrica per le loro assistite. Pure per quella che ha ucciso il marito con lo scopo di prendersi l'eredità. Del resto, in tribunale è un trucco che a quanto pare funziona benissimo quando non si riesce proprio a far passare la donna come vittima del cattivone di turno.
vabbè recitano sempre lo stesso copione, si sapeva che sarebbe finita così.
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