martedì 27 aprile 2010

DDL Affido Condiviso Bis, parte 1

In questi giorni è in discussione al Senato la nuova norma sull'affido condiviso, che dovrebbe impedire definitivamente ai giudici di violare sistematicamente il diritto del padre a poter vedere i propri figli, calpestando la giurisprudenza attualmente vigente in materia. E già iniziano a moltiplicarsi le iniziative dei gruppi femministi. Qui ad esempio abbiamo trovato alcune tracce interessanti di quella che è una vera e propria truffa psicologica, basata sul discutere questioni di natura giuridica in maniera non obiettiva ma sfacciatamente soggettiva, come le vedrebbe una vittima della violenza, senza tenere minimamente conto dell'esistenza di individui che potrebbero approfittarsi di simili ipertutele come del resto già avviene sistematicamente e come questo blog evidenzia da un paio di mesi. Quello che vorrebbero (http://www.petizionionline.it/petizione/affido-condiviso-dei-minori-mai-al-genitore-violento/861) queste associazioni sarebbe vietare il diritto di un padre denunciato per violenza dalla ex-moglie di vedere i propri figli: abbiamo già discusso della pretestuosità di una simile iniziativa e di come questa scavalcherebbe l'autorità e le sentenze dei tribunali penali, che già dispongono dello strumento della misura cautelare per allontanare eventuali ex-mariti violenti qualora gli indizi a corredo della denuncia siano tali da giustificare un simile provvedimento, per cui passiamo ad analizzare le altre mistificazioni. Leggiamo ad esempio che
la calendarizzazione di questo ddl [quello attualmente in discussione al senato ndr] è stata preceduta da una campagna meschina e vergognosa che mette in discussione i dati delle vittime di violenza sulle donne e sui bambini, che proclama la sempiterna innocenza dell'uomo, marito, padre, anche quando l'evidenza dimostra il contrario. Il ddl parte dunque [chissà come funziona il cervello di certe donne ndr] dal pregiudizio pesante che tutte le donne mentano a proposito di violenze subite dai mariti e che tutti i bambini mentano a proposito di violenze subite dai padri [...] Si rimette in discussione la questione del mantenimento per i figli che sgrava i padri di una responsabilità che sembrano non voler assolvere [sempre secondo loro ovviamente, eppure è tanto comodo prendersi l'affido insieme alla casa e agli assegni di mantenimento...]
(no comment). Oppure
il legislatore in questo caso diventa una sorta di locatario che pone le modalità di affitto, sorvegliando chi entra e chi esce, giudicando, ponendo un marchio di controllo sul corpo, sulle abitudini e sulla vita privata della donna, decidendo che lei non potrà avere relazioni di nessun tipo, che non potrà portare in quella casa nessun altro, pena la perdita dell'immobile e dell'affido. Una madre che non vorrà perdere il proprio figlio dovendo rinunciare ad esso per non sottrarlo al luogo nel quale è abituato a crescere sarà così obbligata alla castità per fare felice il suo ex marito
la nuova proposta di legge impedirebbe infatti alle donne separate di sposarsi nuovamente e nel contempo di beneficiare dell'assegno di mantenimento da parte dell'ex coniuge; questo in primo luogo tiene conto del fatto che una volta risposatasi la donna gode del tenore di vita derivante dal nuovo matrimonio e dei beni del nuovo marito (e pertanto non ha alcun senso il mantenimento da parte del vecchio), e in secondo luogo le impedirebbe di adottare stratagemmi volti all'accumulo di mantenimenti multipli derivanti da ripetute procedure di divorzio. Per il resto anche qui evito di commentare. (continua...)

lunedì 26 aprile 2010

Scagionato dall'accusa di stupro

26 Marzo 2010 - Jonathan Burdette è stato scagionato dall'accusa di stupro avanzata nei suoi confronti da una donna rimasta anonima. L'uomo era stato arrestato a gennaio con l'accusa di violenza domestica, violenza sessuale e rapimento.

La donna aveva chiesto a Burdette di fargli il bucato e di preparargli la cena, così gli ha lasciato le chiavi della casa. La presunta vittima ha dichiarato alle autorità che l'uomo l'aveva violentata la prima notte. Tuttavia, dopo il presunto stupro, la signora continuava ad incontrare Burdette per pranzo, gli permetteva di rimanere a casa dopo cena e andava a passeggio con lui.

venerdì 23 aprile 2010

Scagionato dall'accusa di stupro dopo un anno di carcere

1 Aprile 2010 - Jason Duncan è stato incarcerato per un anno con una falsa accusa di stupro avanzata dall'ennesima bugiarda. Per un anno intero è stato insieme a criminali della peggior specie, ha rischiato la vita essendo stato aggredito più volte con rasoi e acqua bollente. La madre ha dovuto abbandonare il lavoro per visitarlo ogni giorno, solo per verificare che fosse ancora vivo. Questa la sua dichiarazione
Donne come quella non solo rovinano la vita di giovani uomini innocenti, ma rendono ancora più difficile alle vere vittime della violenza di denunciare le angherie subite. Vorrei che il nome di questa donna venisse reso noto e coperta di vergogna, ma so che la legge protegge le presunte vittime anche dopo che sono risultate colpevoli di calunnia. La legge deve cambiare per fermare episodi come questo e impedire che l'identità degli accusati sia rivelata prima della fine del processo
La giuria ha impiegato solo un ora per rigettare le accuse della calunniatrice. Duncan è stato in carcere un anno insieme al suo amico Chris Hoey, anche lui accusato dalla stessa persona e rimasto in carcere per lo stesso periodo di tempo.

giovedì 22 aprile 2010

Assolto dal giudice, la Nfl lo condanna

22 Aprile 2010 - Ben Roethlisberger, quarterback degli Steelers, è stato sospeso per sei partite dalla lega americana per aver arrecato danno all'immagine del movimento. Il giocatore era stato scagionato dall'accusa di stupro.

In altri e ben più importanti settori della vita pubblica dovrebbero prendere spunto dall'autonomia della National Football League. E guardare alla punizione inflitta al grande quarterback degli Steelers. È accaduto - e non è la prima volta - che i vertici della Nfl non si siano minimamente assuefatti alle decisioni di polizia e magistratura in una spinosa vicenda che coinvolge un asso della palla ovale ma, piuttosto, abbiano deciso secondo loro parametri. Di più: in senso diametralmente opposto a quanto stabilito da toghe e agenti. Dunque, Ben Roethlisberger, sospettato per la seconda volta in pochi anni di stupro, è stato, per la seconda volta in pochi anni, assolto da investigatori e inquirenti. Ma qui è arrivata la scure della Nfl. Che lo ha sospeso per sei partite, causandogli un danno da 2,8 milioni di dollari.

Smascherata dopo aver fatto passare alla sua vittima sei mesi di carcere

24 marzo 2010, Zimbabwe - Una donna di Bulawayo che ha accusato falsamente il proprietario della sua abitazione, Brian Weale, di averla stuprata per salvare il suo matrimonio quando il marito la aveva scoperta, è stata condannata a sei mesi di carcere, naturalmente con la condizionale. Due mesi sono stati sospesi per tre anni: idem per i rimanenti quattro, a condizione però che completi 140 ore di servizio sociale.

Weale è rimasto in carcere da ottobre dell'anno scorso fino ad una settimana fa, quando la signora dopo circa sei mesi è stata smascherata. Ha dichiarato di averlo fatto per paura che suo marito l'avrebbe per questo aggredita: in realtà il rapporto era stato consensuale. Weale si era preso diverse volte cura della sua famiglia quando suo marito era malato, persino pagando i servizi ospedalieri.

La donna e il marito stanno ancora insieme.

venerdì 16 aprile 2010

Per gli uomini denunciati di stupro o pedofilia vale la presunzione di colpevolezza

Per gli uomini denunciati di stupro o pedofilia vale sempre la presunzione di colpevolezza, ossia diventano colpevoli nell'istante stesso in cui vengono denunciati e scagionati solo quando emergono prove a loro favorevoli. Può trattarsi di testimonianze, prove oggettive come filmati o registrazioni, oppure di pesanti contraddizioni da parte della calunniatrice. Emblematico a questo proposito è il caso di Carlo Parlanti, condannato solo sulla base della testimonianza della sua ex convivente. In quel caso tuttavia non solo non vi erano prove oggettive a suo sfavore, ma erano addirittura state portate dalla difesa intercettazioni tra la presunta vittima e la procura che mostravano inequivocabili una complicità tra la procura e la signora per far condannare il Parlanti senza prove. Queste, assieme alle contraddizioni della donna, in questo caso non sono state neanche prese in considerazione dal tribunale che ha emesso una sentenza di colpevolezza nei confronti di Parlanti. Ebbene si, a volte la giustizia arriva a produrre anche questi mostri giuridici.

giovedì 15 aprile 2010

Testimonianze di magistrati sul fenomeno delle false accuse

Ne avevamo già parlato in precedenza, ma a quanto pare non sono pochi i magistrati che si lamentano delle false denunce e dei costi che per questo vengono sostenuti dalle procure e dai tribunali.

La dottoressa Bresci Barbara, il magistrato che dall’introduzione del nuovo reato di "atti persecutori" nel nostro ordinamento (febbraio 2009) ha aperto il più alto numero di fascicoli per stalking
Sempre più spesso si ricorre alla querela del coniuge o del convivente per risolvere a proprio favore i contenziosi civili per l’affidamento dei figli o per l’assegno di mantenimento. Non sono rari i casi che, a controversia sanata, le querele vengano rimesse, con buona pace per le risorse professionali ed economiche investite dagli inquirenti allo scopo di istruire i fascicoli e raccogliere gli elementi probatori a carico degli indagati [...] anche in casi molto gravi, che in precedenza avevano portato all’emissione di una misura cautelare. Per ovvi motivi di riservatezza non posso entrare nel merito dei singoli episodi, ma ancora di recente mi è stato comunicato dal difensore e dalla parte civile che una coppia ha espresso la volontà di tornare insieme dopo che, durante l’indagine, avevamo accertato episodi gravissimi a carico dell’uomo
La dottoressa Jaqueline Monica Magi, giudice del tribunale di Pistoia, parla invece del fenomeno delle false accuse di violenza sessuale su minore
Potrebbe sembrare incredibile che si possa accusare qualcuno che si sa innocente di un delitto turpe quale quello di violenza sessuale, in particolare quando è perpetrata su un bambino, eppure succede e neanche troppo raramente [...] per l’esperienza fatta le false denunce provengono quasi nella totalità da donne, spesso madri che in tal modo tentano di allontanare gli ex mariti dai figli o peggio credono di vendicarsi di non si sa quali torti subiti durante il matrimonio
L'AGI (associazioni giuristi italiani) spiega, attraverso l'avvocato Cristina Nicolini
Se ci sono i minori in ballo, si mettono in atto dinamiche crudeli: le donne avanzano false denunce di maltrattamenti o molestie sui figli a scapito del coniuge, per togliere a quest'ultimo la patria potestà
dinamiche che, secondo la presidente Clara Cirillo, sono in aumento
credo che la tendenza stia crescendo: questo è sintomo di un disagio della mancanza di un punto d'ascolto. [...] Ad adottare questi sotterfugi sono tutte donne: se la separazione è in corso, non ci sono strumenti prima dell'udienza per allontanare uno dei due genitori da casa. L'ordine di allontanamento giunge solo in caso di violenza fisica, ed ecco perché arrivano le denunce verso i mariti, per la maggior parte dei casi inventate

Fonti

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mercoledì 14 aprile 2010

L'omicidio della piccola Matilda: ad uccidere è stato Cangialosi

Parliamo della vicenda Romani-Cangialosi. Il 2 luglio 2005, la piccola Matilda viene uccisa dopo aver vomitato nel letto: in casa, solo la madre Elena Romani, accorsa a cambiarle le lenzuola, e il compagno Antonio Cangialosi. La signora, per anni l'unica indagata dell'omicidio (si dice dovuto ad un raptus di rabbia), è stata di recente assolta. Fin qui niente di anormale, se non per il fatto che le perizie hanno condotto i giudici a fornire una ricostruzione dell'accaduto che di logico ha ben poco.

Il processo alla Romani si è trasformato sostanzialmente in un procedimento contro Cangialosi, sentenziando la sua colpevolezza nell'omicidio. In pratica i giudici hanno emesso una condanna nei confronti di una persona estranea al procedimento e che, contrariamente alla Romani la quale ha anzi potuto contare su perizie a lei favorevoli, non è neanche comparsa in tribunale per difendersi. Ed è proprio sulla base delle perizie che il tribunale ha emesso il suo verdetto: il colpevole è Cangialosi. Voi come vi sentireste se vi arrivasse a casa la polizia informandovi che siete stati condannati in un processo di cui addirittura ignoravate l'esistenza? Roba da età della pietra. Ma vediamo i dettagli.

Secondo i giudici della corte d'appello, ad uccidere non sarebbe stata la madre (ci mancherebbe altro) infuriata per il fatto che la bambina aveva vomitato e che per anni è stata l'unica indagata, ma il Cangialosi visto che
tutti i dati ora riassunti [provenienti dalle perizie], se vengono posti in sistematica correlazione tra loro, non lasciano spazio ad altra interpretazione se non a quella appunto che [...] il Cangialosi, irritato dal fatto che Matilda si accingeva ad abbandonare la posizione in cui era stata collocata sul divano per andare probabilmente alla ricerca della madre, abbia cercato con brutalità di tenerla ferma premendo un piede (assai più probabilmente che una delle mani) contro la sua schiena con forza tale da provocare le lesioni interne che vennero poi constatate, da procurarle inoltre una sincope pressoché immediata e da farla infine cadere a terra urtando il lato sinistro del corpo contro il pavimento non appena egli interruppe il gesto con cui l'aveva schiacciata con violenza contro il bordo del divano: gesto eseguito con forza talmente sproporzionata e spietata brutalità da causare, dunque, il successivo decesso della persona che aveva offeso
in sostanza, l'uomo avrebbe ammazzato Matilda per impedirle di raggiungere la madre. Questo stando alle perizie successivamente compilate dagli esperti (tutti rigorosamente donne). Poco importa se le carte erano in contraddizione con i fatti rilevati dalla procura, e palesemente artatate e coordinate per raggiungere un unico scopo, cioè gettare la colpa sull'uomo: per il tribunale, la verità è quella che ne discende.

E sempre sulla base delle perizie (e di null'altro) che i giudici hanno chiesto la revoca del non luogo a procedere nei confronti del Cangialosi, inizialmente avanzato dalla procura e poi confermato in Cassazione. Non ci rimane a questo punto che aspettare la sentenza definitiva di terzo grado, sperando almeno in una più sensata assoluzione della Romani con formula dubitativa.

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lunedì 12 aprile 2010

Accusa ingiustamente un uomo di stupro e lo fa arrestare: la procura non la persegue

Coos Bay, Oregon. 9 aprile 2010 - La motivazione: secondo il procuratore Paul Frasier sarebbe molto difficile ottenere una condanna per la 18enne.

La ragazza, rimasta anonima, aveva falsamente accusato Jason Pallasch di averla violentata, salvo poi ritrattare la propria versione diverso tempo dopo. L'uomo nel frattempo è stato arrestato. Solo dopo che la giovane ha testimoniato in tribunale di essersi inventata tutto, Pallasch è stato rilasciato.

La procura ha dichiarato che sarebbe molto difficile ottenere una condanna per la 18enne, perché un'eventuale sentenza di colpevolezza richiederebbe di dimostrare che nessuno stupro è avvenuto, a prescindere dalla testimonianza (in base al ben noto principio della presunzione di innocenza, che viene tirato fuori solo quando fa comodo). Testimonianza che però a quanto pare sarebbe stata utilissima a far condannare una persona per violenza sessuale, e che di sicuro è stata sufficiente a farla arrestare: in quel caso, gli inquirenti non hanno dovuto dimostrare che lo stupro è avvenuto perché per gli uomini, contrariamente alle donne, vale il principio della presunzione di colpevolezza. Cioè sono colpevoli fino a prova contraria. In altri termini, non si capisce bene per quale motivo la testimonianza della calunniatrice dovrebbe essere considerata inattendibile in un processo contro di lei e attendibile invece in un procedimento contro un uomo: contraddizione che si risolve solo postulando che non tutte le persone sono uguali, che la legge non è uguale per tutti, che per le donne vige il regime di impunità totale.

Signori, ricordatevi, che tutto ciò potrebbe accadere anche a voi.

sabato 10 aprile 2010

Calunnia convivente che non voleva sposarla, facendolo finire in carcere. Condannata con la condizionale: niente detenzione

Brescia, 4 aprile 2010 - Si diceva vittima di botte e rapina, di un tentativo d’investimento e addirittura di essere stata costretta con la forza a prendere un farmaco perché abortisse. Ma la sedicente vittima, la 26enne marocchina S. K., al processo contro l’uomo accusato di queste violenze è stata condannata dal giudice del tribunale di Brescia Lucilla Raffaelli a 1 anno e 8 mesi per calunnia (pena naturalmente appena inferiore ai due anni per poter concedere la sospensione condizionale della pena, del resto cosa vi aspettavate da una donna che giudica un'altra donna...).

La signora aveva messo nel mirino il suo ex convivente A. B., un operaio 37enne di Villanuova sul Clisi, che per questa vicenda è stato anche arrestato e ha passato alcuni giorni in carcere prima di finire ai domiciliari e prima ancora di essere scagionato definitivamente. Pare che la reazione della donna sia stata in un primo momento scatenata dal rifiuto dell’operaio di sposarla, dopo una relazione durata alcuni mesi.

La cortina di pizzo

Presentiamo qui due articoli, entrambi riguardanti raptus occorsi in persone adulte e che hanno portato a grandi sofferenze. Nel primo si parla di un padre, Julien Monnet, responsabile di aver sbattuto ripetutamente la testa della figlia sul marmo dell'altare della patria a Roma in un evidente raptus di follia; si trattava di una persona in cura e che era stato abbandonato insieme alla figlia dalla moglie, partita per una vacanza in Turchia. Monnet si era inspiegabilmente allontanato da casa alla volta di Roma, dove è avvenuta la tragedia. Immediatamente tradotto in cella di isolamento a Regina Coeli, dove si trova tuttora in attesa di giudizio, ha dovuto subire il linciaggio mediatico e l'odio della gente prima che il fatto cadesse nel dimenticatoio.
Roma, 20 luglio 2008 - Ha ridotto in fin di vita la figlia di quattro anni picchiandola selvaggiamente. Un francese di 37 anni, Julien Monnet, ha colpito la piccola, facendole sbattere la testa, per tre volte, sul marmo all'esterno del monumento ai caduti, all'Altare della Patria. Erano le 23.30. Sono intervenuti immediatamente i vigili urbani e i carabinieri che hanno bloccato l'uomo. L'uomo è stato arrestato con l'accusa di tentato omicidio.
La bambina è stata ricoverata all'ospedale Bambino Gesù e sottoposta ad intervento neurochirurgico. È in stato di coma post operatorio. Le sue condizioni sono apparse subito gravi: i violenti colpi ricevuti dal padre le hanno provocato un profondo trauma cranico.
Secondo una prima ricostruzione, alcuni passanti hanno notato il comportamento anomalo dell'uomo, che strattonava la bimba. L'hanno seguito da via del Corso fino a Piazza Venezia e hanno segnalato tutto ai vigili. Monnet stava male, sembrava ubriaco: a un certo punto ha anche vomitato. Davanti alla domanda di una vigilessa, ha iniziato a picchiare la bambina.
"Ho appena avuto il tempo di chiedere a quell'uomo perché la bambina stesse piangendo così forte... forse ha avuto una reazione spropositata alla vista della divisa. In un attimo, con la mano destra, ha preso per i capelli la piccola e l'ha sbattuta sul marmo. È svenuta, credevo fosse morta" dice Anna Esposito, la vigilessa che è intervenuta.
Sono arrivati subito i carabinieri. Monnet è riuscito in un primo tempo a divincolarsi e ha cominciato a prendere a testate il marmo alla base del monumento così come aveva fatto con la figlia. È stato poi medicato al Fatebenefratelli e trasferito nel carcere di Regina Coeli. In passato ha avuto problemi psichiatrici: per tutta la notte è rimasto in stato confusionale. Ora è sotto sedativi, controllato a vista. Nel suo zaino sono stati trovati psicofarmaci. Monnet ha perso da poco il lavoro: è un tecnico informatico.
Questa mattina è stata rintracciata la madre della piccola, in vacanza in Turchia. La donna è già in viaggio per Roma. Ha detto di non spiegarsi la presenza del convivente nella capitale: doveva trovarsi a Parigi, ne ha parlato come di un uomo malato.
Anna Esposito è andata in ospedale a far visita alla bambina: "Spero si salvi. E cosa le diranno poi? Che suo padre l'ha quasi ammazzata?".
Nel secondo articolo di nuovo un raptus, con la differenza che si sta parlando di una donna. Monica Cabrele, accusata dell'omicidio del figlio. Per lei non il carcere, ma qualche giorno di ricovero in ospedale. Al contrario del precedente, questo articolo verte sullo stato d'animo interiore della donna: la sindrome post parto, la disperazione di una madre depressa che ha perduto il bambino, il periodo difficile che stava vivendo. Si cerca di scaricare la responsabilità sul marito, sugli assistenti sociali, su chi non l'ha aiutata.
Padova, 23 novembre 2009 - «Ci volevamo tutti bene». Così ha esordito Monica Cabrele nell’interrogatorio di domenica sera davanti al pm euganeo Orietta Canova, alla quale ha ammesso le sue responsabilità sull’omicidio del figlio Alessandro di circa 3 anni. L’interrogatorio della donna, durato dalle 20 alle 21 e al quale ha preso parte, tra gli altri, un ufficiale dei carabinieri, è seguito a quello del marito Gianni Bellato, 40 anni, sentito nel pomeriggio dallo stesso magistrato in un ufficio della procura di Padova.
Il pm Canova si è poi spostata, in serata, all’ospedale di Padova, raggiungendo il reparto di psichiatria dove è piantonata Monica Cabrele, 35 anni, alla quale ha contestato l’accusa di omicidio volontario. L’indagata ha risposto alle domande del magistrato, intervallando momenti di pianto a silenzi. La donna, secondo quanto si è appreso, era lucida, conscia di quanto era accaduto e soprattutto delle sue responsabilità in merito alla vicenda. Nel colloquio ha tra l’altro fatto presente che amava moltissimo suo figlio Alessandro, ma non avrebbe saputo spiegare la causa scatenante che l’ha portata al raptus omicida.
Monica Cabrele ha ucciso il figlio di neppure tre anni a coltellate mentre la bambina messa al mondo tre mesi fa dormiva nella stanza accanto e il marito era uscito a comprare delle pizze. In un attimo ha distrutto una famiglia felice e da quel momento non ha detto una parola. Dopo 24 ore passate come in trance, tenuta sotto sedativi in un letto del reparto di Psichiatria dell’ospedale di Padova e piantonata dai carabinieri, Monica Cabrele ha cominciato a farlo davanti al pm Canova.
L'accusa, come detto, è omicidio volontario del figlio. Sabato sera, al rientro a casa, ha trovato il figlio Alessandro morto, tra le braccia della madre, in un lago di sangue. Lei, con lo sguardo pietrificato, ha continuato a tenerlo stretto a sé con ostinazione: ci sono volute quattro ore per convincerla a farsi staccare dal grembo il corpicino. Da quel momento Monica non ha proferito una parola su quello che è accaduto in quella mezz’ora di assenza del marito. Un silenzio che gli inquirenti devono spezzare per capire cosa ha spinto la donna ad avventarsi contro il piccolo con un coltello da cucina, sferrando una decina di colpi: quanti esattamente, sarà l’autopsia a dirlo (è in programma oggi).
Probabilmente è stata una depressione post parto a far esplodere la tragedia, di cui Monica aveva mostrato alcuni segni dopo la nascita della piccola Erika. Lei e il marito Gianni Bellato, 40 anni, avevano accolto con gioia l’arrivo della secondogenita, come stanno a testimoniare i fiocchi rosa ancora appesi alla ringhiera della loro casa di Pieve di Curtarolo. Poi qualcosa deve essersi spezzato dentro di lei. «Negli ultimi tempi era strana, taciturna» ha raccontato il marito agli investigatori. Segni di una sofferenza, che forse è stata sottovalutata, ma che certo non poteva far presagire una tragedia così grande. Sposati da cinque anni, Monica e Gianni erano a detta di tutti una coppia felice. Così li descrivono i parenti, gli amici, i vicini di casa. Lui, titolare insieme al fratello di una piccola azienda di parquet, e lei, infermiera in una Casa di riposo di Carmignano di Brenta, condividevano gli amici, le feste patronali, la vita del paese.
Il piccolo Alessandro andava all’asilo e tutti lo ricordano come un bambino vispo e allegro: un vicino di casa lo ha visto ieri pomeriggio mentre giocava a pallone in giardino. Poche ore dopo il padre lo ha trovato in cucina straziato dalle coltellate sferrate dalla mamma, che dopo averlo ucciso lo ha avvolto in una coperta e si è distesa sul pavimento tenendolo stretto a sé con gli occhi sbarrati e lo sguardo fisso. In pochi minuti la villetta costruita in mezzo alla campagna si è riempita di investigatori, medici e infermieri. «Mia figlia è una brava mamma - dice disperato e incredulo Domenico, il padre di Monica - veniva sempre qui con i bambini, anche ieri è venuta. Non si capisce cosa sia successo». Anche lo zio di Monica non si dà pace: «Quello che è successo è orrendo. Chiediamo a tutti una preghiera per la nostra famiglia».

mercoledì 7 aprile 2010

Trascorre tre anni in carcere per uno stupro mai commesso, negato il risarcimento

Un ex magistrato inglese, Anthony Hunt, ha deciso di perseguire la donna che lo aveva accusato di stupro dopo aver scontato quasi tutta la condanna che gli era stata comminata. Solo di recente infatti, il procedimento a suo carico è stato annullato per alcune irregolarità che avevano condotto ad una sentenza di colpevolezza: il verdetto della giuria, composta quasi tutta da donne, era stato infatti emesso senza alcuna prova che non fosse la testimonianza della presunta vittima. L'uomo è stato così assolto per non aver commesso il fatto.

La donna, rimasta anonima come al solito, ha raccontato alla polizia di essere stata violentata sette anni prima da Hunt: questo aveva portato all'arresto dell'uomo e alla sua condanna. Poco tempo fa il colpo di scena. La questione aveva scatenato aspre polemiche: si diceva infatti che un'eventuale vittoria dell'ex magistrato avrebbe avuto nefande conseguenze sulle vittime della violenza, che di certo sarebbero state influenzate a non denunciare le angherie subite per paura di essere perseguite a loro volta (il cosiddetto chilling effect). Come se questo non fosse valido per qualunque altro tipo di reato. Stando a questo ragionamento, la stessa calunnia sarebbe una fattispecie da eliminare completamente: o forse solo quando chi è accusato è una donna, a quanto pare.

La giustizia inglese ha comunque aggiunto al danno la beffa: per il fatto che chi ha perseguito l'uomo non è stata la donna ma la Corona, costui non ha potuto citare in giudizio la sua accusatrice perdendo in partenza la propria battaglia legale. L'avvocatessa della signora si è così espressa
la mia cliente si sente vendicata da questa decisione. Prima che Lovells [l'ufficio legale ndr] accettasse di assisterla, ella ha dovuto spendere 60000 sterline per difendersi dalle accuse del signor Hunt. Ha sofferto più di 14 anni a causa di un grave trauma psicologico ed emotivo
le associazioni femministe si sono dette sollevate dalla decisione.

martedì 6 aprile 2010

Anche all'estero i giudici non si smentiscono

Tanto per rimanere in tema di vaginate, segnaliamo alcuni casi accaduti negli Stati Uniti e riguardanti donne colpevoli di vari reati ma condannate a pene ridicole se non addirittura inesistenti
  • Debra Lafave: insegnante accusata di stupro nei confronti di un minore, assolta essendosi la procura rifiutata di far testimoniare la vittima della violenza (dunque per un "cavillo")
  • Louise Woodward: babysitter rea di aver fracassato il cranio del bambino che accudiva come forma di vendetta nei confronti dei genitori con i quali aveva litigato. Condannata a pochi mesi di carcere con la formula time served
  • Dalia Dippolito: commissiona l'uccisione del marito per prendergli la casa e i soldi. Purtroppo per lei il killer era in realtà un agente in incognito. Arrestata e subito messa ai domiciliari solo per il fatto che l'omicidio non è mai stato realmente eseguito. Nel video che vedete sotto, la polizia la inganna informandola che l'uomo è stato ucciso: meriterebbe un Oscar per la recitazione


  • anonima texana giudicata colpevole di aver picchiato selvaggiamente, insieme al marito, la figlia di appena 19 mesi mandandola in ospedale con diverse fratture. L'uomo è stato condannato a 15 anni, mentre alla donna è stata concessa la libertà vigilata, con la condizionale di non fare più figli: la signora ha accettato subito l'offerta del giudice, che in Texas hanno ampi poteri nello stabilire le condizioni di una libertà vigilata

lunedì 5 aprile 2010

La giustizia del telefono rosa viaggia su due binari: uno per gli uomini, l'altro per le donne

Storie recenti, da esaminare in parallelo con simmetrie al maschile. Questo è quanto ci ha proposto, nelle ultime settimane, la Giustizia italiana in alcuni casi di cronaca "al femminile". Tre episodi di violenza, morte e degrado, che vedono le mamme protagoniste, e i figli vittime.

La prima riguarda la morte del piccolo Alessandro Mathas, ucciso probabilmente dal compagno della madre durante un raptus mentre lei era uscita alla ricerca di cocaina, ben consapevole del suo comportamento violento nei confronti del bambino (lei stessa ha dichiarato che «l’aveva picchiato altre volte»). Non lo accudiva da 12 ore: forse è stato il pianto del piccolo affamato a scatenare la violenza omicida dell'uomo. Ma tant'è, lui è in galera mentre la madre è già libera dopo pochi giorni di carcere. Un caso analogo è stato quello di Elizabethe Petersone e Paolo Arrigo: l'unica differenza è che qui le parti sono invertite. Il bambino secondo la procura sarebbe stato ammazzato di botte dalla madre con il concorso omissivo del compagno, reo di non aver denunciato il fatto. Arrigo tuttavia è stato scarcerato dopo un anno, e si trova tutt'ora agli arresti domiciliari come la madre assassina.

La seconda vicenda di cui vi vogliamo parlare è quella della donna arrestata per sevizie nei confronti del figlio. Dopo un breve periodo di ricovero in ospedale, è stata dimessa e si trova ora a piede libero mentre la vittima è stata confinata in un istituto per evitare contatti con la madre. Inutili le proteste del padre e del fratello che lo reclamano: il Tribunale dei minori ha deciso così per la sua stessa tutela.

La terza è probabilmente quella più sconvolgente: una donna con precedenti (un omicidio volontario con occultamento di cadavere commesso nel 1992 e per il quale ha scontato 10 anni) che lasciava i due figli di 3 e 4 anni chiusi in una stanza al buio in mezzo ai loro escrementi per andare a lavorare in una chat erotica. Quando li hanno tirati fuori, puzzavano e avevano problemi di deambulazione. La madre invece è stata scarcerata dopo l'interrogatorio di garanzia, in cui si è giustificata dicendo che il tenere i figli rinchiusi era solo un evento occasionale. Questo ha convinto il gip a rilasciarla col solo divieto di dimora.

Viene naturale chiedersi cosa sarebbe accaduto qualora i responsabili fossero stati i padri. Per uno di questi casi, almeno, ne abbiamo prova diretta: è ancora dentro, e pare che la sua posizione si vada aggravando sempre di più. Ne eravamo certi. Un uomo si becca il doppio della pena, comunque vada.

sabato 3 aprile 2010

Pedofilia, procuratore denuncia la Chiesa. E il ministro Alfano manda gli ispettori

Roma - Il procuratore aggiunto di Milano, Pietro Forno, del quale vi avevamo parlato in qualche post fa, denuncia coperture da parte delle autorità ecclesiastiche nei confronti di sacerdoti responsabili di abusi sessuali sui minori. L'intervista rilasciata al Giornale accende il dibattito politico e il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, decide di inviare gli ispettori nel capoluogo lombardo per fare luce sulla vicenda.

Il ministro - si legge in una nota - «lette le dichiarazioni rese ieri alla stampa dal Procuratore aggiunto di Milano dott. Forno, che ha accusato le gerarchie ecclesiastiche di coprire i sacerdoti responsabili di gravi fatti di pedofilia, considerato il carattere potenzialmente diffamatorio di tali dichiarazioni, ha dato mandato al suo ufficio ispettivo di verificare se il dott. Forno con tale condotta abbia violato i doveri di correttezza equilibrio e riserbo che devono essere particolarmente osservati nella trattazione di procedimenti delicati come quelli per reati di pedofilia, reati che vanno perseguiti con estrema decisione ma» si precisa nella nota «evitando pericolose generalizzazioni».

Una decisione, quella del ministro Alfano, che ha scatenato la reazione dell'Italia dei Valori: «Alfano dovrebbe congratularsi con il pm milanese» è il commento di Leoluca Orlando «e dovrebbe, invece, fornire più strumenti al comparto per arrestare i criminali e fermare l'abominio della pedofilia. I pedofili e chi li copre vanno comunque puniti e denunciati». Non solo: Alfano, secondo Orlando che lo definisce «il ministro dell'ingiustizia», si dovrebbe vergognare perché «con questa ispezione, sembra voler intimidire i magistrati che lavorano per difendere i bambini dagli orchi, solo perché sarebbero coinvolti alti prelati e sacerdoti. Alfano chiarisca la sua condotta in Parlamento o si dimetta».