martedì 30 marzo 2010

Un sistema rapido per eliminare il coniuge

Riporto qui la testimonianza di una vittima delle false accuse. Questa persona ha dovuto scontare quasi quattro anni di carcerazione preventiva prima di essere assolto dalle accuse di pedofilia nei confronti della figlia formulate dalla ex moglie dopo il divorzio. Accuse che alla fine si sono rivelate false, come del resto avviene in molti casi.

domenica 28 marzo 2010

I dati dell'ISTAT e il pregiudizio strisciante

Se è vero che i dati riguardanti la violenza domestica sono allarmanti, è anche vero che quelli concernenti le false accuse, relativamente all'importanza che viene data a questo fenomeno (completamente ignorato dai media e dagli istituti statistici, per i quali è certamente più interessante fornire dati su temi scottanti piuttosto che su altri alla cui esistenza la gente comune fatica addirittura a credere, sia per un radicato pregiudizio che vuole la donna santa a priori sia appunto per la pressoché nulla rilevanza data a questo genere di problemi), sono oltremodo inquietanti. Il procuratore della Repubblica di Bergamo Carmen Pugliese ad esempio, nell'intervista che viene fornita di seguito, lamenta il fatto che 8 denunce di maltrattamenti su 10 provenienti da donne contro i loro mariti si rivelano alla fine fasulle. Nonostante siano questi i dati, l'ISTAT continua a focalizzare i propri sforzi sul fenomeno dei maltrattamenti, dimenticandosi stranamente di ricordare la possibilità delle false dichiarazioni: un'indagine svolta per telefono nel 2006 ha rilevato che in Italia una donna su tre è stata vittima di violenza almeno una volta nella vita. Nell'immaginario collettivo, questi dati vengono presi per oggettivi, veri e inconfutabili (tanto che le varie organizzazioni femministe ci marciano sopra con fierezza): in altri termini, per la gente comune tutto ciò non significa che una donna su tre ha dichiarato di essere stata vittima di violenza, ma che una donna su tre è effettivamente stata oggetto di maltrattamenti. Eppure, e qui sta l'assurdo, questi sondaggi intrinsecamente soggettivi e personali (dunque di validità reale nulla perché potrebbero anche essere menzogne) prendono inevitabilmente il sopravvento su quelli, al contrario realmente oggettivi e inconfutabili perché provenienti dagli uffici di una procura, forniti da un anonimo magistrato in forze ad un anonimo pool specializzato in reati sessuali e familiari. Solo per il fatto che il fenomeno dei falsi abusi non viene monitorato dall'ISTAT, che se ne disinteressa bellamente, il fenomeno in pratica non esiste. Eppure, lo diciamo di nuovo, la verità è quella che segue
Da L'eco di Bergamo, 31 gennaio 2009 - «I maltrattamenti in famiglia stanno diventando un'arma di ritorsione per i contenziosi civili durante le separazioni», avverte Carmen Pugliese, pm del pool della Procura specializzato in reati sessuali e familiari, scorrendo i dati che vedono questo tipo di violenza aumentare in maniera significativa. Nella Bergamasca si è passati dai 278 casi del 2006 ai 306 del 2007, fino ai 382 del 2008, in pratica più di una denuncia al giorno. E se è vero che si riscontra una sempre più diffusa propensione da parte di padri e mariti ad alzare le mani, è altrettanto appurato che molte volte le versioni fornite dalle presunte vittime (quasi sempre donne) sono gonfiate ad arte. «Solo in due casi su 10 si tratta di maltrattamenti veri» analizza il pm Pugliese «il resto sono querele enfatizzate e usate come ricatto nei confronti dei mariti durante la separazione. 'Se non mi concedi tot benefici, io ti denuncio' è la minaccia che fanno le mogli. [...] L'impressione è che tendano a usare pm e polizia giudiziaria come strumento per perseguire i propri interessi economici in fase di separazione».
Poche, in percentuale, le inchieste che sfociano in condanna. «Molte volte
» rivela il pm Pugliese «siamo noi stessi a chiedere l'archiviazione. In altri casi, invece, si arriva a un processo dove la presunta vittima ridimensiona il proprio racconto. È successo anche che qualche ex moglie sia finita indagata per calunnia».

Carmen Pugliese una tiratina d'orecchi la riserva anche alle associazioni che operano a tutela delle donne: «Non fanno l'operazione di filtro che dovrebbero fare: incitano le assistite a denunciare, ma poi si disinteressano del percorso giudiziario, di verificare come finirà la vicenda. Mi sembra una difesa indiscriminata della tutela della donna che viene a denunciare i maltrattamenti, senza mettere in conto che questa donna potrebbe sempre cambiare versione».
Un altro dato riguarda le false accuse di pedofilia avanzate dalle donne contro i loro mariti ed ex-mariti e funzionali esclusivamente a sottrarre loro i beni economici, la casa, il denaro e i figli. Luca Steffenoni, nel suo libro Presunto colpevole, osserva che «nella classifica degli abusatori di minori si collocano, con un sorprendente 80 per cento, i padri separati denunciati dall'ex-moglie in concomitanza o immediatamente dopo la richiesta di divorzio».

venerdì 26 marzo 2010

La signora mi ha detto che devo disegnare un fantasma e chiamarlo pisello

Si tratta della testimonianza di una bambina obbligata a sostenere una seduta con una ginecologa del Cismai, associazione delegata dalla procura di Milano a redarre perizie contro persone accusate di pedofilia, allo scopo di produrre prove ai danni del padre Salvatore Lucanto, poi finito in carcere per due anni e mezzo prima di essere assolto in Cassazione. Segue qui un articolo in cui vengono descritte le modalità di indagine seguite da questa organizzazione.

Tratto da Il Foglio del 23 marzo 2001

Roma. Dopo aver avviato un'istruttoria sui suoi rudi metodi d'indagine di Pietro Forno, il Csm ora studia anche l'operato dei suoi consulenti di parte: psicologi che emettono sentenze di condanna inappellabili, ginecologi dai discutibili pareri medici, e un rapporto troppo stretto fra la procura milanese e un'associazione di psicoterapeuti.

A dicembre, il pm del pool dei soggetti deboli (donne e bambini vittime di maltrattamenti e abusi sessuali), finisce al centro di una polemica e di un'indagine del Csm. Un taxista milanese, Marino Viola, accusato di violenze sessuali sulla figlia, viene assolto quando a Forno subentra un altro pm, Tiziana Siciliano. Il suo avvocato difensore, Luigi Vanni, segnala parecchie irregolarità avvenute nel corso delle indagini e confermate dalla requisitoria della Siciliano. Il processo diventa un caso che solleva dubbi sulle metodologie adottate da Forno e getta ombre sul lavoro dei periti. Il Csm apre un'istruttoria su richiesta del consigliere laico Eligio Resta, Forno si difende, accusa i giornalisti di stare dalla parte dei pedofili, annuncia la richiesta di trasferimento, la procura milanese si divide, Francesco Saverio Borrelli lo conferma e lui resta al suo posto.

Ma il Csm prosegue. Indaga anche sul processo Artico, l'educatore condannato in appello il 20 febbraio a 9 anni di reclusione. Emerge un uso spregiudicato delle intercettazioni telefoniche da parte del pm e interrogatori intimidatori delle presunte vittime da parte dei poliziotti.
Gli esperti del Cismai
Poi nel dossier Forno arrivano le carte che riguardano un coordinamento composto da 40 centri e servizi, pubblici e privati, e 100 soci che operano nel campo del trattamento e prevenzione dell'abuso sessuale sui minori: il Cismai. [...] I loro pareri coincidono sempre con la tesi del pm, il loro protocollo di intervento è la fotocopia del metodo d'indagine introdotto nel 1989 da Forno. Dopo le loro relazioni, i minori vengono tolti alle famiglie e affidati ai centri, dove spesso lavorano gli stessi periti. [...] Il primo a puntare il dito contro il Cismai è il senatore Augusto Cortellone dell'Udeur. In un'interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia del 9 febbraio scrive
Oggi varie procure, tribunali e uffici Gip provvedono alla scelta dei loro consulenti quasi sempre fra gli associati Cismai, sia per i magistrati dell'accusa che per i giudici all'interno della stessa vicenda processuale, contraddicendo così il principio costituzionale del giusto processo. Le loro perizie partono sempre dal presupposto della colpevolezza dell'indagato. Non crede il ministro che sussista il pericolo che i soci Cismai, perpetrino condotte penalmente rilevanti come le false perizie o false interpretazioni?
Il 15 febbraio la presidentessa del Cismai Teresa Bertotti scrive al ministro della Giustizia per chiarire le finalità dell'associazione e conclude
Segnalo l'effetto negativo che suscitano queste prese di posizioni negli operatori chiamati per prevenire e rilevare precocemente i casi di pedofilia e poi accusati di una del tutto non precisata appartenenza nefasta la cui colpa sarebbe quella di favorire lo scambio e il confronto fra professionisti
Ma il protocollo di intervento di questa associazione non è mai stato approvato dall'Ordine nazionale degli psicologi che già nel 1999 lo ritiene pericolo perché, come scrive il professor Guglielmo Gullotta a cui l'Ordine ha chiesto un parere, «non viene neanche presa in esame l'ipotesi che il sospettato possa essere innocente, ma si afferma che l'abusante (il pedofilo) neghi sempre». Insomma, si evince che il Cismai abbia storpiato il metodo della validation psicologica americano, per aderire all'impianto italiano di certi pm. Il risultato è un pasticcio psico-giudiziario che potrebbe aver portato in carcere più di un innocente e fabbricato qualche mostro.

Nel processo Viola, la pm Tiziana Siciliano, riferendosi alla ginecologa Cristina Maggioni che ha riscontrato segni di una violenza sessuale mai avvenuta, dice
Ci viene da chiederci se sia una totale incompetente o una persona in malafede
È lei la perita incaricata da Forno in numerosi processi, in 9 anni ha fatto 358 consulenze, ha partecipato a vari processi dove è sempre stata smentita dai consulenti del giudice.

Nel processo a Salvatore Lucanto (il pm è sempre Forno), la vicenda è ancora più grave. Secondo l'accusa, Salvatore avrebbe violentato sia la cugina minorenne sia la figlia Angela. Finisce in carcere, per due anni e mezzo, nel dicembre 1999 viene assolto perché il fatto non sussiste. L'accusa si basa esclusivamente su due disegni eseguiti dalla figlia in presenza di una psicologa del Cismai, Luisa Della Rosa. Quando la bimba esce dall'audizione protetta dice
La signora mi ha detto che devo disegnare un fantasma e chiamarlo pisello
Poi viene prelevata a scuola e portata al Centro aiuto famiglia e bambini maltrattati (uno dei quattro centri fondati dal Cismai) dove lavora l'allora consulente del pm Luisa Della Rosa. Per due anni, il centro riceve dal comune di Milano 5 milioni e 400 mila lire al mese per l'affidamento della bambina (il conto finale di 150 milioni viene presentato al padre). Durante il processo di primo grado un'altra perita, la psicoterapeuta Marinella Malacrea (presidente del Centro del bambino maltrattato e membro del direttivo Cismai) viene sospettata di fare perizie "forzate". Uno degli avvocati Guido Bomparola, chiede che un foglietto di appunti della psicoterapeuta venga allegato agli atti. C'è scritto
Con Forno rimango poi d'accordo che farò bastare gli elementi che ho… informo Forno che se non riuscirò a produrre un minimo di alleanza [con la bambina testimone, ndr] non mi pare utile farle un esame psicologico, sarebbe [non si capisce la parola] oltre che controproducente

mercoledì 24 marzo 2010

«Ha stuprato la nipote», ma non è vero niente: giustizia dopo 14 anni

Era stato accusato di aver violentato, seviziato e soggiogato sua nipote, all’epoca dei fatti ancora una bambina. Con questa accusa infamante addosso, con questo peso insopportabile nel cuore, ha dovuto sopportare anni di dolorosi processi e umiliazioni. Alla fine, la verità è venuta a galla. Quelle accuse erano finte, inventate di sana pianta da una ragazza dalla personalità evidentemente disturbata. E solo dopo 14 anni di calvario quest’uomo, oggi 70enne, è riuscito a ottenere giustizia: la donna che ha mentito rovinandogli la vita, la nipote oggi 31enne, sarà processata con l’accusa di calunnia aggravata.

La vicenda

E’ una vicenda che ha dell’incredibile quella che vede come protagonista Salvatore A., un uomo oggi quasi 70enne, accusato nel lontano 1996, dalla nipote allora 18enne, di averla stuprata e seviziata da quando era ancora una bambina. Dopo aver subito un processo che solo per il primo grado è durato ben 5 anni (anche se le udienze sono state solo 18), dopo aver ottenuto l’assoluzione con formula piena il 29 aprile 2004, dopo che la sentenza è passata in giudicato il 27 dicembre successivo; finalmente Salvatore A., ha ottenuto l'imputazione coatta della sua accusatrice oggi 31enne.

L’imputazione è stata disposta dal giudice per le indagini preliminari Guido Salvini, che ha rigettato la richiesta di archiviazione formulata dalla Procura. Nel dispositivo, il gip esprime perplessità su tutta la vicenda giudiziaria «fonte di sicura sofferenza» per il 69enne e in particolare sulla richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero «il primo settembre 2009, dopo una stasi di quasi 4 anni del procedimento a partire dalla denuncia dell’anziano del 16 novembre 2005».

La disavventura giudiziaria di Salvatore A. è cominciata il 30 gennaio 1996 quando la nipote, all'epoca 18enne, lo aveva denunciato, sostenendo di essere stata violentata più volte da lui fin da quando aveva 10 anni. Ne era nata un’inchiesta giudiziaria e l’uomo ha rischiato anche di finire in carcere. Durante i cinque anni di processo, il racconto dell’accusatrice si fa via via più pesante: «Lo zio mi ha stuprata, mi spegneva le sigarette sulle braccia e sulle gambe - racconta la ragazza in Tribunale - e mi tagliuzzava con un coltellino». «Un giorno - riferisce sempre la 18enne - mi ha portata in un appartamento per farmi incontrare altri uomini che poi mi hanno stuprata».

Accuse false

Ma le accuse della nipote, erano via via cadute in una serie di contraddizioni al punto che i giudici avevano assolto l’imputato. La ragazzina sosteneva inoltre di aver confidato, all’epoca, queste cose ad alcuni partenti, che però erano già morti. «Quest’uomo - spiega il gip Giudo Salvini - ha subito un grave danno all’onore, e ha visto la sua libertà personale posta in serio pericolo e la sottoposizione a un processo che è durato molti anni, fonte di sicura sofferenza». «Per fortuna - conclude il giudice - quest’uomo ha creduto nella giustizia, presentando un proprio esposto nel 2005 contro la sua accusatrice».

Fonte

Fa incarcerare un uomo per 10 giorni, condannato il marito

22 marzo - Mark Noble, marito di Elaine (di cui non sono note le generalità), 45enne di Mundon Road, è stato condannato a 9 mesi di reclusione dopo che sua moglie ha fatto arrestare un uomo con una falsa accusa di stupro. Questa persona, un 18enne, ha dovuto scontare 10 giorni in carcere prima di essere rilasciato e scagionato definitivamente.

Stavolta una falsa accusa è stata punita: peccato che ad essere incarcerato non è stata la calunniatrice, ma un altro uomo. Si esatto, funziona così.

martedì 23 marzo 2010

Le donne e il "carcere": fare figli è un investimento per il futuro

Alle detenute con figli al di sotto dei tre anni, la legge fornisce la possibilità di tenere i figli con sé e di scontare la pena agli arresti domiciliari o, nel caso in cui questo non sia possibile (principalmente nei casi di plurirecidive), in reparti speciali del carcere in cui si trovano.

A questo provvedimento risalente al 1975 se ne aggiunge un altro intitolato “Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori” 40/2001 (poi modificato il 3 aprile 2007) e proposto nel 1997 dall'allora ministro per le Pari Opportunità Anna Finocchiaro. Esso fornisce l'acceso ad ulteriori privilegi volti ad evitare alle madri con figli minori di 10 anni la pena detentiva all’interno delle prigioni, e a consentire loro di scontare presso il proprio domicilio o, nel caso ne fossero sprovviste, in case-famiglia la loro condanna. Le condizioni per accedere a queste alternative sono quelle di aver scontato un terzo della pena oppure i 15 anni nei casi di ergastolo. Il giudice inoltre può, ove ragionevoli motivi a tutela dello sviluppo psico-fisico del minore lo rendano raccomandabile, estendere l’applicazione della norma anche alla madre di prole con età superiore ai dieci anni.
In generale comunque le donne possono accedere, in regime di detenzione, a tutta una serie di privilegi, agevolazioni e sconti che possono variare dalla riduzione della pena a condizioni di vita più favorevoli (quali la detenzione domiciliare o l'ammissione al regime di semilibertà) e che agli uomini vengono concessi con molta meno frequenza.

Nonostante questo sistema di privilegi, una recente proposta di legge prevederebbe l'obbligo di garantire alle madri detenute la sospensione della pena o, qualora questo non sia possibile a causa del pericolo di reiterazione del reato, la detenzione domiciliare o in case famiglia anche nel caso la prole abbia un'età superiore ai dieci anni. Questo consentirebbe innanzitutto a qualunque madre incensurata di evitare il carcere indipendentemente dalla fattispecie di reato commessa, e alle altre di scontare la pena all'interno di strutture differenti dalla prigione.

Tutto ciò, unito al fatto che alle donne per tradizione vengono comminate pene generalmente inferiori rispetto alle controparti maschili, spiega il motivo per cui la popolazione carceraria femminile costituisce solo un'esigua minoranza: in Italia, alla fine del 2006, la percentuale è stata del 4,3%, contro una media europea leggermente superiore (5%). I reati più frequentemente commessi da questa categoria sono quelli contro lo Stato (24% del totale).

In definitiva: donne, volete l'impunità? Fate figli, e poi fateli mantenere dai mariti, magari dopo averli fatti finire in carcere per abusi sessuali o per qualche altra accusa a vostra scelta. E via. Ma questo mi sa che lo avete già capito da tempo.

martedì 16 marzo 2010

Gli SMS della calunniatrice e un video lo salvano dal carcere

Continuiamo a sostenere la tesi che difendersi dalle false accuse sta diventando sempre più difficile, a causa delle pressioni continuamente imposte dalle femministe che vorrebbero condanne al carcere senza processo né appello per chiunque venga denunciato per violenza sessuale (si veda a questo proposito anche il blog http://www.bambinicoraggiosi.com/?q=node/1841 della Lerici, dove il concetto non è espresso manifestatamente ma è comunque malcelato). A questo proposito, segnaliamo un articolo di ieri nel quale si racconta la vicenda di Anthony James Weatherman, 23enne dello Iowa incarcerato per una settimana con l'accusa di molestie mossagli contro dall'ennesima bugiarda rimasta anonima e che come al solito la farà franca.

Il fatto risale al 6 settembre dello scorso anno. Ad una festa del Minnesota State University, Weatherman interviene per allontanare un uomo che stava importunando la ragazza che poi deciderà di denunciarlo per farlo finire in galera. Per sua fortuna, il ragazzo aveva salvato sul suo telefono cellulare messaggi della donna che a tutto avrebbero fatto pensare tranne che ad un'avvenuta molestia; a quanto pare però alla procura non sono bastate queste prove, visto che il 23enne è comunque stato arrestato e trattenuto per ben una settimana, prima che potesse racimolare i soldi della cauzione.

Le accuse sono state archiviate solo quando è uscito fuori un video in cui veniva ripresa la molestia e che ha permesso al giovane di essere scagionato definitivamente. Ci chiediamo: cosa sarebbe successo se non avesse avuto questa fortuna? A che condanna sarebbe andato incontro? Di certo il fatto sarebbe andato a rimpinguare la casistica delle violenze sessuali che con tanta veemenza sbandierano le femministe.

lunedì 15 marzo 2010

Prima minacciato di estorsione da una prostituta, poi denunciato per calunnia

Una vicenda che ha del paradossale. Un imprenditore cinquantenne di Atessa conosce una prostituta per la quale perde la testa: le mente dicendole di non avere moglie, le giura amore eterno e le promette che l'avrebbe tolta dalla strada sposandola. La storia inizia nel 2005: l'uomo inizia a farle regali costosi, le paga l'affitto dell'appartamento in cui vive e le compra un'automobile pagandola a rate. Ma dopo qualche mese l’uomo si tira indietro: «non posso più pagare le rate della vettura» le dice.

A quel punto la donna inviperita lo minaccia, qualora decidesse di non continuare a pagare le rate della vettura, di rivelare la storia a moglie e figlia. Non solo, inizia anche a fargli telefonate minatorie. L'imprenditore, non sapendo più come gestire la situazione, decide di denunciare la donna per estorsione e minacce.

Oggi, al termine della vicenda, arriva l'ennesimo colpo di mano a favore della donna: il giudice Massimo Canosa l'assolve perché il fatto non costituisce reato. Pare che il signor Canosa abbia accolto la tesi difensiva secondo cui a sbagliare sarebbe stato l'imprenditore, ingannandola con false promesse: insomma, l'ennesima vaginata. Non solo: la prostituta ora minaccia di denunciare l'uomo per calunnia...

sabato 13 marzo 2010

Per dirigere un carcere ci vuole un uomo. Secondo la Cassazione questa affermazione è diffamatoria

Secondo il codice penale italiano
commette diffamazione chiunque offende l'altrui reputazione comunicando con più persone
a quanto pare però il concetto non sembra essere chiaro alla Corte di Cassazione nonostante, ricordiamolo, si tratti della massima e inoppugnabile autorità giuridica in campo civile e penale, visto che ha condannato un giornalista e un sindacalista ad un risarcimento danni nei confronti della persona da loro "offesa", la direttrice del carcere di Caserta. La colpa dei due sarebbe stata quella di sostenere che la gestione di un istituto di pena non dovrebbe essere affidata ad una donna, verosimilmente per motivi caratteriali. Carcere: "per dirigerlo serve un uomo" hanno dichiarato. Affermazione opinabilissima ci mancherebbe, ma da quando in qua esprimere un'opinione (almeno finché non istiga all'odio o a delinquere) è considerato reato?

Probabilmente la stessa cosa che si sono chiesti i supremi giudici quando, appurato che quella strada non era percorribile, hanno deciso di far ricadere il tutto nella fattispecie della diffamazione. Noi non siamo a conoscenza dei voli pindarici sui quali la Corte ha costruito una simile argomentazione, ma quel che è certo è che non si capisce come un'opinione riguardante peraltro non una specifica persona ma una vastissima categoria a cui quella persona appartiene, quella delle donne in questo caso, possa giustificare una condanna per dichiarazioni diffamatorie e un risarcimento proprio verso quell'individuo e non verso tutti gli altri (tutte le donne che gestiscono carceri in questo caso). Nonostante l'evidente contraddizione tuttavia la Cassazione, come al solito, ha dato ragione alla donna, aggrappandosi è evidente all'unico appiglio disponibile che era appunto quello della diffamazione. L'ennesimo colpo di mano... o l'ennesima applicazione del vagina pass?

mercoledì 10 marzo 2010

Fa incarcerare un giovane con una falsa accusa di stupro, condannata ad 80 ore di servizio in comunità

Un altro aspetto da prendere in esame è come ci si preoccupi, in maniera assolutamente ingiustificata e oserei dire quasi patologica, di come le false accuse smascherate rischino di minare la credibilità di quelle vere agli occhi delle autorità in primo luogo, e in secondo luogo di come le conseguenti condanne abbiano l'effetto di intimorire le vere vittime della violenza, trasmettendo a queste donne l'idea che una denuncia possa ritorcersi loro contro.

Alle vere vittime della violenza ci sentiamo di poter dire che molto difficilmente una segnalazione di abusi può rimanere inascoltata: le vicende trattate in questo blog dimostrano anzi come basti la parola a sollecitare un intervento da parte delle forze dell'ordine e della magistratura, senza alcun bisogno di dover fornire prove oggettive delle vessazioni subite. Inoltre, non sono mai stati rilevati casi in cui una vittima autentica sia stata ingiustamente accusata di falsa testimonianza o calunnia: tutte le bugiarde sono state sempre smascherate da fatti oggettivi inoppugnabili (quali registrazioni o confessioni in qualche maniera intercettate) oppure dalle loro stesse dichiarazioni fortemente contraddittorie. Nella quasi totalità dei casi sono addirittura ree confesse, e solo per questo motivo le condanne comminate loro, quando ci sono (spesso neanche finiscono in tribunale), sfiorano i limiti del ridicolo e non tengono minimamente in conto del danno subito dalle loro vittime.

Per contro, non si capisce bene come si possa affermare che le false accuse minano la credibilità di quelle vere; facciamo notare per l'ennesima volta che le autorità agiscono sempre tempestivamente ogni volta che viene depositata una denuncia del genere, senza approfondire la veridicità di quelle accuse. I test medici vengono eseguiti solo successivamente a garanzia del presunto autore delle violenze, che quasi sempre viene arrestato preventivamente: le poche eccezioni derivano solo da accuse palesemente contraddittorie.

Premesso ciò, parliamo di quello che è successo ieri. L'ennesima bugiarda, stavolta una 19enne scozzese, ha evitato il carcere semplicemente spedendo una lettera di scuse al ragazzo che aveva fatto incarcerare per ripicca, accusandolo di stupro. Da parte del giudice, che l'ha condannata a 80 ore di servizio socialmente utile (non sappiamo se retribuito o meno), c'è stata solo la preoccupazione di far notare come questo genere di reati possa compromettere la credibilità delle vere vittime della violenza, anche se non si capisce come questo possa essere possibile. In questo caso, la ragazza è stata scoperta solo perché caduta in contraddizione; il presunto autore dello stupro è stato prontamente arrestato; in ogni caso, la criminale se l'è cavata praticamente con niente.

martedì 9 marzo 2010

Fa incarcerare tre giovani con una falsa accusa di stupro, ma viene smascherata da una registrazione nascosta

Come già avevamo accennato tempo addietro, lo stupro è una fattispecie di reato che richiede unicamente come prova la testimonianza della presunta vittima. Pertanto, per chiunque si trovi questa spada di Damocle sulla testa, vale la presunzione di colpevolezza: se non sei in grado di difenderti e portare prove a tuo discapito, verrai condannato.

Un esempio eloquente in merito ci viene fornito da un caso accaduto l'altro ieri e riportato dal "Copenaghen post": il processo a tre giovani precedentemente condannati per violenza carnale è stato riaperto dopo che il fratello di uno di loro è riuscito ad acquisire una testimonianza filmata in cui la 16enne che li aveva accusati, rimasta anonima, confessava di aver mentito.

Lo stratagemma usato dal ragazzo per scagionare il familiare consistette nel riprendere di nascosto un flirt tra lui e la presunta vittima, che nel corso del rapporto amoroso si è lasciata andare alle dichiarazioni che l'hanno poi portata ad essere denunciata per calunnia. La teenager ha infatti confessato di aver accusato uno dei ragazzi per ripicca, mentre in realtà l'amplesso consumato era perfettamente consensuale. Questo a confermare il fatto che tra uno stupro e un rapporto legale passa in realtà una sottilissima differenza soggettiva: l'opinione della donna, peraltro impossibile da congelare e quindi suscettibile a ripensamenti.

Alla fine del filmato, la 16enne dice di non essere intenzionata a ritrattare per paura di essere punita. Tuttavia, noi sappiamo perfettamente che questo non accadrà mai e che i suoi timori sono del tutto ingiustificati, anche adesso che per puro caso è stata scoperta.

Alcune considerazioni
  • siamo sicuri che un reato per il quale vale intrinsecamente la presunzione di colpevolezza, e che obbliga il presunto colpevole a doversi scagionare con l'acquisizione di prove peraltro difficilissime da acquisire, possa trovare spazio (nella maniera in cui è formulato attualmente si intende) nel codice di un paese democratico?
  • qual'è la vera entità del fenomeno delle accuse strumentali, se è vero che solo a seguito di eventi incredibili e fortuiti come quello sopra riportato le menzogne vengono a galla? Qual'è la percentuale del sommerso? Quanti falsi abusi alla fine portano alla condanna di uomini innocenti, colpevoli solo di non essere riusciti a dimostrare la propria non colpevolezza?

domenica 7 marzo 2010

Il carcere sotto i tre anni di vita

Il video che potete vedere in questo post è un documentario girato dalla signora Luisa Betti, giornalista probabilmente legata alla combriccola della Lerici.


Come probabilmente avrete notato, il focus è interamente incentrato sul "dramma" delle madri in carcere: donne costrette a rubare per mantenere i loro figli piccoli, addolorate del fatto di aver portato con sé i propri pargoli in un posto come quello (come se non avessero potuto fare altrimenti: se ci fate caso ad un certo punto viene citata la frase di una bambina «Perché Aurora e papà non sono qui?»...).

Siamo sicuri che queste donne abbiano fatto una cosa del genere per il bene dei bambini, costringendoli a scontare con loro la pena in galera? Oppure solamente per avere l'opportunità di trascorrere la giornata al nido piuttosto che in cella? Ce lo domandiamo pure noi, ma di certo da una visione del documentario per come è costruito sarebbe difficile, almeno dal punto di vista emotivo, sostenere la seconda tesi.

Segnalo un altro video della Betti: visto che non posso ascoltare l'audio, se qualcuno potesse farne un resoconto di certo darebbe un bel contributo a questa causa!

Attualmente la legge italiana permette alle donne di tenere con sé i figli al di sotto dei tre anni ovunque esse si trovino, anche in carcere. Diciamo no a questo abominio, no ai bambini innocenti in carcere.

Tiriamo fuori i bambini dalle carceri, e teniamo dentro le madri

Nell'articolo precedente vi abbiamo citato l'istituto sostanziale di una nuova forma di garanzia giuridica nei confronti delle donne. Ma a quanto pare tutto questo non basterebbe: su Facebook, il noto social network, abbiamo scovato un gruppo femminista intitolato "tiriamo fuori i bambini (cioè le donne) dal carcere": l'obiettivo del blog dovrebbe essere quello di fornire un ulteriore valore aggiunto al vagina pass. Ovvero: fai un figlio e stai fuori dal carcere. Ma noi sappiamo benissimo che a loro dei bambini in carcere non interessa un bel niente, e che il loro unico obiettivo è svuotare per poi demolire le carceri femminili. Già l'istituto dell'hotel Icam, che hanno il coraggio di chiamare braccio di San Vittore, ne è una testimonianza.

Eppure la soluzione sarebbe semplice. Ci sono molte (in percentuale si intende) donne in carcere con compagni liberi: si potrebbero dare in affidamento a loro i bambini. E invece no. No, perché a un certo punto della storia se ne è uscita la sedicente psicologa integralista femminista, affermando che i bambini devono assolutamente e inderogabilmente stare con la madre, pena uno sviluppo della personalità deviata. Evidenze a favore di ciò? Neanche una ovviamente, si tratta solo dell'ennesimo pretesto per trarre ulteriori benefici per loro stesse. E solo ed esclusivamente sulla base di queste "ricerche", che nell'immaginario collettivo vengono viste come scientifiche e di indiscussa validità (neanche fosse la Bibbia), molti bambini vengono condannati al carcere insieme alle loro madri criminali. Pur non avendo nessuna colpa, salvo quella di essere nati in una società intrisa di luoghi comuni e pregiudizi che delega alle donne autorità morale e sociale assoluta.

Attualmente la legge italiana permette alle donne di tenere con sé i figli al di sotto dei tre anni ovunque esse si trovino, anche in carcere. Noi riteniamo che questo sia un vero e proprio crimine legalizzato: i bambini non dovrebbero stare in cella, in nessun caso.

Il vagina pass, in esclusiva per voi donne. Il carcere? Solo per gli uomini!

In America lo chiamano "vagina pass", ma a quanto pare si tratta di un titolo di credito riconosciuto anche in Italia. Tanto per esemplificare il concetto si confrontino due casi di estorsione semplice avvenuti entrambi pochi giorni fa, il primo dei quali in cui è coinvolto un uomo, tuttora in carcere, e il secondo avente invece per protagonista una donna. Nella prima situazione, è noto il nome dell'uomo (Nino D'Ippolito, 55 anni) e la cifra che avrebbe dovuto essere estorta è di 1000 euro: purtroppo per lui è stato sorpreso e accompagnato in galera. Meglio è andata alla signora, rimasta ovviamente anonima, che tuttavia per la prestazione aveva chiesto 30 mila euro: per lei, il giudice ha imposto solo il divieto di avvicinamento alla vittima.

sabato 6 marzo 2010

Le bugie di Roberta Lerici: fate attenzione a chi date i vostri voti

Richiamo alla vostra attenzione il blog della signora Roberta Lerici (http://www.bambinicoraggiosi.com/?q=node/927). Questa donna non fa altro che segnalare notizie in cui ad un padre separato accusato di abusi sui figli viene concesso l'affido di questi ultimi. In sostanza si basa sull'associazione mentale che i decerebrati, cioè il 99% degli italiani, sviluppano appena leggono una notizia del genere: padre accusato di pedofilia → padre pedofilo → bambini affidati dallo stato ad un pedofilo. Probabilmente dovremmo ricordare alla signora Lerici alcune cose
  1. accusato di abusi senza sentenza definitiva passata in giudicato non implica necessariamente che le accuse siano vere
  2. anzi, è documentato che quattro denunce di abusi avanzate da donne contro gli ex mariti oppure contro i mariti in fase di separazione su cinque sono false, cioè non danno luogo a condanne; in sostanza sono pretesti usati per togliere agli uomini i loro figli e sovente anche le loro proprietà (soldi, casa, automobili etc.)
  3. tra tutte le denunce di pedofilia, stranamente l'80% sono depositate da donne in sede di divorzio e riguardano i loro compagni; questo per dare un'idea di quanto questo fenomeno sia diffuso
fatte queste precisazioni, dovrebbe apparire chiara alle persone pensanti la mistificazione posta in atto da questa persona, la sua scorrettezza e la sua disonestà, caratteristica del resto di tutte queste fanatiche (soprattutto se si tratta di politiche in cerca di consensi). Ma la festa è finita.

A questo proposito, voglio segnalare una proposta di legge avanzata poco tempo fa dalle donne dell'Italia dei Valori al Consiglio Regionale Toscano, riguardante il divieto di affido condiviso dei figli fino al terzo grado di giudizio (ovvero, in media, per sei anni) qualora la donna presenti alle autorità una denuncia per maltrattamenti sui medesimi da parte del padre (ignorando volutamente l'esistenza dello strumento della misura cautelare, che può essere spiccata dai giudici in presenza di gravi indizi a corredo della denuncia: si tratta in sostanza dell'ennesimo tentativo di scavalcare l'autorità dei tribunali). Pare dunque che si tratti di un tema che sta molto a cuore alle donne di questa fazione, Lerici compresa. Ma ormai abbiamo capito che si tratta dell'ennesimo tentativo posto in essere da questa categoria per ritagliarsi ancora più privilegi di quelli che già possiedono. Pensate: a una donna basterebbe depositare una falsa denuncia di abusi per allontanare definitivamente o quasi i figli dal marito. In effetti questo è quello che già fanno, ma la legge se dovesse essere approvata fornirebbe loro una garanzia totale, l'impossibilità da parte dei giudici di dare ragione all'uomo. Legherebbe di fatto le mani a quei pochi magistrati che, non facendosi condizionare da accuse non ancora passate in giudicato, fino ad oggi hanno valutato l'affido su parametri oggettivi e non sulla base di preconcetti o preferenze personali.

venerdì 5 marzo 2010

Gail Sherwod condannata per aver fornito false dichiarazioni in ben tre occasioni

4 marzo 2010, Gloucestershire - Ci dobbiamo ricredere, in alcuni, rarissimi casi vengono comminate condanne alle donne che si macchiano del reato di false dichiarazioni alla polizia. Gail Sherwood, 52 anni e rea confessa, è stata condannata ieri per aver ostacolato il corso della giustizia in ben tre occasioni (il 12 aprile, il 25 dello stesso mese e il primo giugno 2008: le denunce riguardavano come al solito presunte violenze sessuali), portando in un caso all'arresto di un uomo, poi rilasciato dal carcere senza accuse a suo carico.

Quello che più sconcerta sono le reazioni alla sentenza da parte dell'organizzazione Women Against Rape. Prima della pronunciamento da parte della corte, un portavoce della WAR ha commentato il rinvio a giudizio della donna nella seguente maniera
Siamo scioccati da questa decisione. Rimaniamo fermamente convinti dell'innocenza della donna
neanche si trattasse del suo avvocato. 60 persone hanno inoltre cercato di convincere il giudice dell'innocenza della Sherwood firmando una petizione. Alan Kent, avvocato della 52enne, ha espressamente dichiarato che la sua assistita ha ceduto confessando alla polizia di aver dichiarato il falso solo per evitare la carcerazione, quando in realtà le violenze ci sono state veramente. Il legale, seguendo l'ormai collaudato metodo "Franzoni-Taormina", ha cercato di convincere la giuria del fatto che il misterioso stalker della Sherwood fosse ancora a piede libero e intenzionato a mietere altre vittime.

Women Against Rape ha dichiarato infine di essere allarmata del crescente numero di donne perseguite dalla giustizia con l'accusa di aver fatto false dichiarazioni. Lasciando intendere naturalmente che tutte quelle accuse sono in realtà infondate, perché le donne che denunciano una violenza dicono il vero a priori. Ci stiamo dirigendo verso il riconoscimento di un nuovo principio giuridico? Fortunatamente esistono ancora magistrati che usano il cervello.

Post correlati

giovedì 4 marzo 2010

Ingiustizia è fatta: La storia vera di una madre a cui l'ex marito porta via la figlia


Dall'abstract di un romanzo scritto da tale Gian Paolo Grattarola, tratto da una storia vera (cosa a cui ci sentiamo di credere)
Una mamma giovane e piacente e una deliziosa bambina di quattro anni che sembra il suo ritratto in miniatura affrontano il rito della colazione e poi si immergono nel traffico romano, parlando allegramente di saggi di danza e feste di compleanno lungo la strada verso la scuola. Dopo aver accompagnato la figlia, la donna si reca in palestra per una corroborante sessione di spinning.

Un quadro idilliaco che crolla poco dopo al suono del cellulare: a chiamare Karen due assistenti sociali, che la invitano a presentarsi alla scuola di Charlotte con la massima urgenza, c'è da dare applicazione a un decreto del Tribunale dei minori che ha affidato la bambina alla custodia del padre Manlio, un influente medico in là con gli anni.

Karen crolla in un istante nella più profonda costernazione: come è possibile che la legge abbia stabilito che a occuparsi di sua figlia sia un uomo sul quale pende un denuncia per abusi sessuali nei confronti di Charlotte, un uomo che non ha mai voluto una figlia e che ha prima ostacolato e poi ignorato la sua gravidanza, un uomo che fino a poco tempo prima a malapena aveva interesse a che la piccola Charlotte esistesse? Per Karen è l'occasione per ricordare tutte le tappe della sua dolorosa vicenda giudiziaria, sentimentale e umana...
si, denuncia fatta da chi? Dovrebbe suscitare clamore questa cosa, simpatia istintiva nei confronti della madre? Noi sappiamo bene in realtà di che persona si tratta: di una calunniatrice, una delle tante. L'ennesima bugiarda. Eppure l'autore si presenta come un cittadino sdegnato da una vicenda in cui la donna è vittima di una palese ingiustizia. L'opera dovrebbe essere una testimonianza civile, dice. Certo, l'ennesima testimonianza dell'ebetismo e del pregiudizio in cui ormai è caduta la nostra società.

Fonte

  • Blog (http://www.bambinicoraggiosi.com/?q=node/1860) di Roberta Lerici

Anna Shavenkova. Come uccidere un essere umano impunemente

Mosca, 25 febbraio (Apcom-Nuova Europa) - Una consulente politica di Russia Unita - il partito del primo ministro Vladimir Putin - schiaccia due donne contro un muro con la propria automobile: una è morta, l'altra ha riportato una invalidità permanente. La donna non è neanche stata imputata, nonostante le evidenze.


Il terribile incidente si e' verificato il 2 dicembre dello scorso anno. Anna Shavenkova, 28 anni, è figlia del presidente della Commissione elettorale regionale di Irkutsk, Lyudmila Ivanovna Shavenkova.

Le immagini mostrano come la donna, lanciata a tutta velocità sulla sua "Toyota Corolla", abbia travolto due ragazze che transitavano su un marciapiede, facendole letteralmente sfracellare contro un portico. La telecamera a circuito chiuso mostra Anna Shavenkova che esce dalla macchina, controlla attentamente l'auto fracassata e si mette a telefonare. A seguito dell'incidente Elena Pyatkova, 38 anni, è morta in ospedale. Sua sorella Julia, 27 anni, rimarrà disabile a vita.

La Shavenkova non è stata ancora imputata; anzi, non le hanno neppure tolto la patente.

Fonte

Le bugie del femminismo

«Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità» — Joseph Goebbels
Si tratta di un'affermazione che ha fatto scuola, in molti ambiti. Uno di questi, è quello del femminismo. Diffondere dati del tutto ingiustificati, strampalati e spesso ben al di là della sfacciataggine (il 33% delle donne italiane ha subito uno stupro almeno una volta nella vita, una donna guadagna in media il 34% in meno di un uomo a parità di qualifica nonostante abbia il 78% di preparazione in più etc.) ormai è diventata una moda e un'abitudine. Dati falsi e strumentali a sostenere la loro causa e la loro scalata verso i vertici della società, approfittandosi della faciloneria dei cosiddetti "uomini che stanno dalla parte delle donne" oppure più semplicemente puntando sulla loro avvenenza e sul loro corpo per trarre i favori più disparati. Si perché questi esserini (le femministe, of course) in realtà sono subdoli, scaltri ed arrivisti, e non si fanno alcuno scrupolo per ritagliarsi tutti quei privilegi a cui credono di avere diritto. E da questo è nato tutto quel sistema di favori, menzogne e racomandazioni che caratterizza l'universo femminile e le sue relazioni con il resto del mondo.

Anni fa è stata sancita la loro uguaglianza rispetto all'uomo, ma al giorno d'oggi si sta assistendo a quel fenomeno che può essere sintetizzato dalla celebre frase «dai loro il dito, e si prendono il braccio».

Riferimenti

Collegamenti esterni

lunedì 1 marzo 2010

Assolto padre accusato di pedofilia

Un'altra storia di falsi abusi, di madri a cui non interessa niente dei propri figli se non usarli come frecce avvelenate con cui colpire il marito, per farlo arrestare, rovinarlo per sempre e prendersi i suoi soldi. A cui non interessa nulla delle estenuanti sedute psichiatriche e legali alle quali si devono sottoporre ogni volta questi bambini: loro, per primi, vittime di madri egoiste e senza scrupoli. Dal quotidiano Eco del Chisone

Orbassano, 24 febbraio 2010 - Assolto perché il fatto non sussiste. È finita così, nel pomeriggio di lunedì 22 febbraio, la vicenda giudiziaria di un quarantenne orbassanese denunciato dall'ex-moglie per molestie sessuali ai danni del figlio. Seconda udienza in rito abbreviato, davanti al giudice di Pinerolo Alberto Giannone.

Assolto. Processo concluso. Ma tanti, pesanti, strascichi ancora aperti. Perché se pure il giudice sentenzia che non hai abusato di tuo figlio, l'ombra di un'accusa tanto infamante resta. Te la porti appresso. Se la portano appresso i tuoi famigliari, gli amici. In fondo in fondo, negli angoli più appartati delle loro menti rimarrà il dubbio. E nei ricordi di quel bimbo rimarranno i volti e le domande dei consulenti, dei giudici, della Polizia giudiziaria. Di tutta quella pletora di figure che ruotano intorno ad ogni caso di abuso. Vero o presunto che sia.

Avrai un bel dire che quella storia se l'era inventata la tua ex-moglie e che a tuo figlio non hai mai rivolto carezze indecenti. Intanto restano quei due anni e quattro mesi lontano dal ragazzino. Un padre cui il Tribunale dei minori ha tolto la patria potestà. Fin dall'ottobre 2007, quando l'ex-moglie sporge denuncia. Molestie. Gliele aveva confidate il suo bimbo, racconta la donna, a giugno di quell'anno. Perché non rivolgersi subito agli inquirenti? Se lo è chiesto, evidentemente, anche il giudice che ha assolto il marito.
Nel libro di Luca Steffenoni "Presunto colpevole" si apprende una realtà inquietante
nella classifica degli abusatori di minori si collocano, con un sorprendente 80 per cento, i padri separati denunciati dall'ex-moglie in concomitanza o immediatamente dopo la richiesta di divorzio
percentuale nella quale è finito anche l'autore di questa triste vicenda. Viene dunque da chiedersi quale sia la discrepanza tra le denunce effettuate e i reali fatti di pedofilia. Certo, esisterà una certa percentuale di sommerso, di bambini abusati che rimangono in silenzio perché hanno paura di raccontare le loro esperienze, ma non bisogna trascurare anche l'altra faccia della medaglia. Queste donne abiette sono una vera e propria offesa per tutti i fanciulli che soffrono veramente.