sabato 31 luglio 2010

Non violentò due alunni: insegnante assolto

28 luglio 2010, Milano - È stato assolto in primo grado e in appello, ma la vita di un maestro delle elementari di Milano non sarà più la stessa, dopo i 247 giorni di ingiusta detenzione e la macchia indelebile sulla sua reputazione. L'accusa: violenza sessuale su due bambini di 8 anni durante l'orario scolastico.

Tutto è iniziato nel 2002, come riporta il Corriere della Sera, con l'accusa di molestie sessuali da parte della madre di due bambini (non supportate da alcun riscontro clinico) e l'insegnante di Milano, dichiaratamente omosessuale, finisce nel labirinto infernale della giustizia italiana. Detenuto a San Vittore, viene sorvegliato a vista 24 ore su 24 perché la tipologia del suo reato, violenza su minore, lo esponeva alla ferocia dei compagni di cella.

Due mesi di carcere e sei agli arresti domiciliari, senza contare l'attesa, dal 2002 al 2009, della sentenza d'Appello che si conclude con la piena assoluzione.

martedì 27 luglio 2010

Arrestata a Reggio una slava che per non finire in carcere e scontare la sua pena è sempre incinta

27 luglio 2010, Reggio Calabria - Sabato scorso gli agenti della Volante della questure di Reggio Calabria, hanno arrestato per furto in un appartamento in centro città la ventunenne Cristina Nikolic insieme all’altra complice ventenne Noemy Dragutonovic. A seguito di normali accertamenti investigativi è venuto fuori che la Nikolic aveva un notevole curriculum criminale e che risultava essere latitante in quanto era raggiunta da un ordine di carcerazione emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale minorile di Milano. La giovane criminale deve scontare una pena cumulativa di ben 13 anni e 4 mesi di reclusione, nonché altri nove mesi di semidetenzione in seguito alle numerose sentenze di condanna riportate per reati contro il patrimonio. La Nikolic è stata trasferita in carcere ma potrà permanere nella struttura fino a quando le sue condizioni di salute glielo permetteranno. Infatti la malvivente è al sesto mese di gravidanza. La giovane è già madre di quattro figli dati alla luce forse solo per evitare la galera e poter continuare a delinquere per sopravvivere. Una storia veramente paradossale.

domenica 25 luglio 2010

Vittime di false accuse provenienti dalle nipoti, assolti dopo sette anni di calvario giudiziario

24 luglio 2010, Vercelli - A pochi giorni dal giudizio di illegittimità costituzionale della norma che rendeva obbligatorio il carcere per gli accusati di violenza su minore, un'altra sentenza riguardante però due persone, il nonno e lo zio di tre sorelline che avevano falsamente accusato i due parenti di averle sessualmente molestate. «Il nonno fa sempre lo stupidino e mi alza la gonna» aveva detto una di esse ad un'insegnante di sostegno: le bambine sono finite in una casa famiglia su decisione del tribunale dei minori che aveva giudicati indegni i genitori in quanto in qualche maniera collusi con i due uomini, che invece hanno passato due anni in carcere come conseguenza delle dichiarazioni delle tre ragazzine, con l'accusa di violenza sessuale su minore.


«Sono sempre state fantasiose, si sono condizionate l’un l’altra» hanno detto il padre e la madre, nel tentativo di difendere i parenti accusati del crimine più infamante che si possa pensare. Per anni sono stati additati come i mostri di Vercelli, prima della sentenza di assoluzione in cui i giudici hanno dato ragione ai periti: le tre sorelle non sono state toccate neanche con un dito.

Il modo di procedere segue un copione altrettanto violento quanto la presunta violenza denunciata: intanto si manda in galera l’accusato, lo si dà in pasto all’opinione pubblica, poi si vedrà se è davvero colpe­vole. Sembra quasi che il giudi­ce debba fare ammenda di un atavico senso di colpa, per il quale la nostra civiltà non avrebbe sufficientemente pro­tetto, nella sua storia millena­ria, le donne. Insom­ma, meglio credere sempre a quello che dice una donna: se è una bugiarda poi si vedrà.

sabato 24 luglio 2010

Fenomenologia della falsa violenza sessuale

Vogliamo qui riassumere nei limiti dei casi analizzati quello che accade in una falsa denuncia per violenza sessuale. L'elemento che innesca il processo è sempre una donna, che si inventa uno stupro ai suoi danni da parte di un uomo: descriviamo di seguito come operano queste persone dopo aver creato la menzogna da dare in pasto alla polizia.

Innanzitutto va detto che le calunniatrici in molti casi sfruttano la denuncia "differita", ossia si rivolgono alle autorità diversi mesi dopo la violenza che affermano falsamente sia occorsa, onde evitare di essere sottoposte ad esami ginecologici che potrebbero smascherarle. Infatti, dopo molto tempo le prove di uno stupro non sono più verificabili: la denuncia differita consente così alle false vittime di evitare la produzione di prove contraddicenti la loro versione dei fatti. A questo proposito citiamo questo caso (tre mesi) e quest'altro (sette anni). Le vere vittime della violenza invece denunciano subito: per loro non ha alcun senso aspettare e rischiare di perdere le prove degli abusi subiti, riscontrabili attraverso la visita ginecologica. Esistono tuttavia svariati casi in cui le bugiarde scelgono di segnalare alle autorità un fatto avvenuto di recente, probabilmente per la smania di ricevere il prima possibile una compensazione finanziaria.

Molto spesso basta la parola della calunniatrice per far finire in carcere l'accusato, ove rimane fin quando ella non viene smascherata (quasi sempre perché cade vittima delle sue stesse dichiarazioni contraddittorie). Le prove oggettive della non avvenuta violenza sessuale, se prodotte, escono sempre dopo l'arresto dell'indagato, sconfessando sistematicamente il principio della presunzione di innocenza. Sovente viene avviato il processo a carico dell'arrestato senza alcun elemento probatorio che non sia la parola dell'accusatrice. A questo punto, nella quasi totalità dei casi, l'accusato viene assolto per non aver commesso il fatto cadendo in fase di dibattimento il castello accusatorio della procura, spesso perché la calunniatrice espone una versione in contraddizione o con sé stessa o con le prove raccolte dalla difesa a favore dell'imputato; in altri casi addirittura viene emessa una condanna che viene però rigettata successivamente per pesanti irregolarità nella procedura (si veda ad esempio questo caso).

Le sentenze di condanna nei confronti delle calunniatrici vengono sistematicamente sospese, con la giustificazione dell'incapacità mentale: stranamente queste delinquenti hanno sempre avuto un'infanzia difficile, hanno sofferto di problemi di alcool e simili e per questo motivo non pagano per i loro crimini. Un caso emblematico a riguardo è questo: nonostante la signora abbia accusato un uomo di falso stupro appositamente per ricevere l'indennizzo finanziario, in sede processuale le sono stati riconosciuti problemi mentali e per questo è stata condannata a 300 ore di lavoro socialmente utile al posto del carcere. Spessissimo addirittura queste donne non vengono affatto perseguite dalla procura e quindi non finiscono neanche in tribunale.

giovedì 22 luglio 2010

Ulteriore riduzione di pena per Lindsay Lohan

Vi avevamo precedentemente detto che Lindsay Lohan, dei 90 giorni di carcere da scontare per aver violato il suo programma di riabilitazione, ne avrebbe scontati solo 23 in quanto donna: di oggi la notizia che la pena si è ulteriormente ridotta, precisamente a 14 giorni. Comodo essere femmina negli Stati Uniti: considerata l'entità dello sconto (84%), se la Lohan fosse stata condannata a 10 anni per omicidio avrebbe dovuto passare in galera solo 1 anno e 6 mesi.

In passato, la Lohan era stata condannata ad un giorno di carcere per guida in stato di ebbrezza: ci è rimasta solo 84 minuti.

venerdì 16 luglio 2010

Non palpeggiò commessa 17enne. Assolto titolare negozio abbigliamento

16 luglio 2010, Rimini - È stato assolto dall'accusa di violenza sessuale ai danni della commessa 17enne, l'imprenditore riminese di 39 anni titolare di un negozio di abbigliamento a San Giuliano. Lei diceva di essere stata palpeggiata mentre stava lavorando nel suo negozio come commessa.

L'uomo ha sempre respinto le accuse raccontando di quando i fratelli siciliani della ragazzina, già noti alle forze dell'ordine, gli avevano messo a soqquadro il negozio minacciandolo che, se avesse chiamato la polizia, lo avrebbero denunciato per aver toccato la sorella.

In tribunale il racconto della 17enne si è fatto sempre più farraginoso e in contrasto con la versione dei fratelli. L'avvocato della ragazzina stamattina non si è neanche presentato all'udienza.

giovedì 15 luglio 2010

Funzionaria della prefettura scomparsa: il Riesame scagiona l'indagato per omicidio. Tutte menzogne quelle della Goffo: forse un tentativo di vendicarsi dell'ex amante

Ancona, 10 luglio 2010 - Rossella Goffo, la funzionaria della prefettura misteriosamente scomparsa il 5 maggio di quest'anno, avrebbe mentito in passato riguardo un tentativo di soffocamento da parte dell'uomo attualmente indagato per essere il suo omicida, il tecnico quarantunenne della Questura ascolana ed ex amante Alvaro Binni. La donna aveva dichiarato che l'agente avrebbe tentato di ucciderla penetrando in casa sua ad Ancona, con guanti, nastro adesivo e un panno intriso di etere e aggredendola alle spalle. Proprio sulla base di questa testimonianza la procura, dopo la scomparsa della Goffo, ha iscritto Binni nel registro degli indagati, valutando tra le altre cose l’emissione di una misura cautelare personale a suo carico, non si sa se poi non formalizzata o non accolta.

Tutto inventato, secondo i giudici del Riesame, così come la confidenza fatta ad alcune amiche, ma anche a un agente della polizia postale, di non voler denunciare l’amante per salvaguardare la vita della sua bambina. Una bambina fantasma, con tanto di fotografia della figlia di un’amica spacciata per autentica. «Non è emersa - scrivono i giudici - non solo l’attribuibilità al Binni dell’omicidio, ma neppure la sussistenza stessa del fatto». In sostanza non è certo che la Goffo sia stata uccisa: avrebbe potuto essersi dileguata per far accusare l'ex amante del suo omicidio. Intanto di Rossella non c’è traccia.

mercoledì 14 luglio 2010

Il vagina pass, riproposto in edizione deluxe in esclusiva per voi donne

14 luglio 2010, Bergamo - Ha patteggiato due anni di reclusione con il beneficio della sospensione condizionale della pena la trentenne educatrice della Bassa Valle Imagna che, a ottobre del 2009, era stata denunciata per maltrattamenti nei confronti di un bambino disabile. Il bimbo, di 9 anni e del tutto non autosufficiente, residente nell'hinterland di Bergamo, le era stato affidato proprio per il suo ruolo di educatrice.

La scelta processuale della giovane, incensurata e assistita dall'avvocato Emilio Gueli, è arrivata nel corso delle indagini preliminari, dopo che la trentenne, già durante l'interrogatorio di fronte al giudice delle indagini preliminari Giovanni Petillo, di fatto aveva già ammesso le proprie responsabilità nella vicenda contestata, dichiarandosi pentita dell'accaduto e mostrando commozione di fronte ai filmati degli episodi contestati.

A denunciare i fatti e a farla finire nel registro degli indagati erano stati proprio i genitori del bimbo disabile: avendo casualmente notato da parte dell'educatrice dei comportamenti piuttosto insoliti e poco chiari nei confronti del bambino, avevano deciso di provare a filmare di nascosto come la trentenne si comportava con lui in momenti diversi e in varie giornate, essendo loro figlio impossibilitato a parlare a causa della sua grave patologia.

Il risultato delle registrazioni li aveva portati poi direttamente in Procura a denunciare tutta la vicenda: l'educatrice infatti era stata chiaramente filmata mentre maltrattava in modo del tutto ingiustificato il bimbo, in diverse occasioni. In un momento gli avrebbe perfino messo un lenzuolo in bocca, forse con l'intento di farlo smettere di piangere. Il sostituto procuratore Giancarlo Mancusi, titolare del fascicolo, sulla base dei filmati e della denuncia aveva chiesto subito un'ordinanza di custodia in carcere, ma il gip, valutata anche l'incensuratezza della ragazza, aveva disposto invece gli arresti domiciliari, revocati poi in un secondo momento.

Qualche giorno dopo, durante l'interrogatorio di garanzia davanti al gip Petillo, alla trentenne erano stati mostrati i filmati che la accusavano, e lei aveva pianto, dicendosi dispiaciuta. Aveva anche escluso di aver mai voluto far del male al bambino, pur prendendo atto di quanto le veniva contestato proprio sulla base dei filmati. Non aveva però fornito agli inquirenti chiare spiegazioni sui motivi del suo comportamento nei confronti del bimbo.

martedì 13 luglio 2010

Denunciò sequestro e stupro ma si era inventata tutto

La ragazza, una rumena di 19 anni, aveva accusato tre connazionali. Li hanno scagionati i tabulati telefonici

13 luglio 2010, Bologna - Non è stata violentata ma nemmeno aggredita, stordita con alcol e sequestrata per una notte. Si è inventata tutto la rumena di 19 anni che il 21 giugno si è rivolta ai carabinieri della stazione Bertalia di Bologna, accusando tre connazionali. Per questo ieri i tre sono stati scarcerati con un’ordinanza del gip Pasquale Gianniti su richiesta del pm Giampiero Nascimbeni. Ora la giovane, che abita a Bologna, rischia un’accusa per calunnia.

Il fatto aveva creato allarme, anche perché, secondo la denuncia della donna, il sequestro sarebbe avvenuto in pieno centro e poco dopo le 20. A smontare il suo racconto sono stati soprattutto i tabulati telefonici: il suo cellulare non si è mai agganciato a una cella del centro. Al contrario, lei disse di essere stata avvicinata dai tre la sera del 20 giugno in Strada Maggiore e poi costretta, dietro minacce di morte, a salire in macchina fino a un appartamento di Quarto Inferiore dove uno di essi l’avrebbe violentata. Con l’uomo la giovane ha avuto una relazione durata qualche mese, ma pare che la storia non piacesse alla famiglia di lei.
Secondo gli sms e le telefonate, i due si sono invece incontrati al centro commerciale Lame, per poi andare a Quarto, dove hanno avuto un rapporto sessuale consensuale. Risentita qualche giorno fa dai carabinieri, la romena ha parzialmente modificato le accuse ma poi, inchiodata dai tabulati, si è limitata a dire che ha finto lo stupro per paura che l'uomo facesse del male a lei e alla sua famiglia. Più credibile il sospetto che, avendo passato la notte fuori casa, temesse la reazione della madre. Di fronte ai nuovi indizi, il gip ha revocato la custodia cautelare in carcere ai tre, che erano stati arrestati lo scorso 23 giugno e accusati a vario titolo di violenza sessuale e sequestro di persona.

lunedì 12 luglio 2010

Allarme falsi stupri in Gran Bretagna

12 giugno 2010, Birmingham - È un vero allarme quello dei falsi stupri in UK: oggi l'ennesima calunniatrice è stata condannata a due anni con pena sospesa. La donna, una 23enne, aveva falsamente accusato un uomo che per questo è stato detenuto per tre ore prima di essere rilasciato su cauzione. È rimasto indagato per tre mesi, prima che la verità emergesse. La ragazza è stata smentita dall'esame medico forense.

Il giudice ha condannato la giovane a due anni di reclusione per aver fornito false dichiarazioni alle autorità. La sentenza è stata naturalmente sospesa, in quanto la donna al momento della denuncia era in una situazione di stress e aveva recentemente perso il padre, morto suicida. Noi ci chiediamo per quale motivo queste giustificazioni debbano attecchire solo per le donne e non ad esempio per pedofili o stupratori, visto che anche loro molto spesso sono vittime di un'infanzia difficile.

domenica 11 luglio 2010

Ancora false accuse nel Regno Unito

10 luglio 2010, Torquay (Contea del Devon) - Una teenager che ha avanzato una falsa accusa di stupro è stata oggi condannata a 18 mesi di detenzione con la condizionale. La ragazza aveva chiamato il 999 da un telefono pubblico per dire che uno sconosciuto l'aveva attaccata e violentata. Dopo varie ricerche, la polizia ha arrestato un uomo che è rimasto detenuto per quattro giorni prima che la donna ammettesse di essersi inventata tutto.

La "pesante" sentenza, seppur sospesa, è stata giustificata dal fatto che il giudice non ha ravvisato alcun problema di salute mentale nell'accusata, ma solo uno smodato desiderio di ricerca dell'attenzione.

sabato 10 luglio 2010

Breve ricerca sociologica a mezzo Facebook: infanticidi

Abbiamo svolto una piccola ricerca a proposito delle reazioni tenute dalle persone in reazione a casi di infanticidio, confrontando le due situazioni precedentemente prese in esame: la prima è quella di Vanessa Lo Porto, infanticida dei suoi due figli, mentre la seconda riguarda Giampiero Mele, reo di aver ucciso il proprio bambino. Per questo, abbiamo osservato i commenti postati sulla celebre piattaforma di social networking Facebook.

Nei casi in cui è la donna ad uccidere il figlio, l'interesse della gente è focalizzato a giustificare in tutte le maniere possibili il gesto della madre (1, 2, 3 e 4). A nessuno o a pochi interessa ricordare o omaggiare le vittime; nel caso della Lo Porto, i giornali non ne hanno neanche riportato il nome, né hanno dato notizia dei loro funerali. Nessuna solidarietà viene data al padre della vittima.

Quando invece è il padre ad uccidere, si scatenano i peggiori istinti giustizialisti nei confronti di quest'ultimo (1, 2, 3 e 4). E anche i media non vanno tanto sul leggero, con qualificazioni del tipo "papà macellaio".

Collegamenti esterni

giovedì 8 luglio 2010

Ancora una falsa violenza

Ferrara, 8 luglio - Non ci fu violenza sessuale, non fu uno stupro di gruppo: il gup di Ferrara ha assolto perché il fatto non sussiste tre giovani bresciani. Erano accusati di aver violentato un'amica minorenne in vacanza con loro e col fidanzato, in una casa sui lidi ferraresi nell'aprile 2008.

La ragazza avrebbe taciuto la circostanza al compagno e, dopo tre mesi, nei quali ha continuato a frequentare la compagnia, con la sorella ha denunciato la falsa violenza ai carabinieri. I ragazzi, che hanno sempre e con forza affermato che l'amica fosse consenziente, hanno passato un mese di custodia cautelare in carcere su ordine della giudice per le indagini preliminari Silvia Migliori prima di essere scarcerati dal tribunale della Libertà di Bologna per mancanza di gravi indizi (misura confermata dalla Cassazione).

mercoledì 7 luglio 2010

Privilegi per le donne negli Stati Uniti

7 luglio 2010 - Dapprima sbalordita, poi come ferita, poi ancora la disperazione: nel giro di pochi secondi, questo il comportamento di Lindsay Lohan in aula. L'attrice e cantante era arrivata presso un tribunale di Los Angeles confidando che il giudice avrebbe chiuso un occhio su qualche sua piccola variazione al programma di recupero impostole dopo una sentenza del 2007. Ma la Superior Court, dopo aver sentito i responsabili di un centro di trattamento anti-alcolico presso il quale LiLo avrebbe dovuto fare capo, non ha voluto sentire altre scuse. "Ho cercato di fare del mio meglio per andarci", aveva detto la Lohan. Il giudice però non ha ritenuto sincera la giustificazione e ha condannato Lindsay a 90 giorni di carcere. LiLo ha tempo fino al 20 luglio per prepararsi e mettere a posto i suoi affari, poi sarà chiusa in cella. La 24enne, che non si attendeva un risvolto del genere, come detto è rimasta dapprima sbalordita e poi si è messa a piangere. Tuttavia, come ha spiegato Steve Whitmore del tribunale ad un reporter di TMZ, le donne condannate in una situazione simile a quella di Lindsay solitamente trascorrono dietro le sbarre non più del 25% del termine carcerario; se così fosse, la donna dovrebbe trascorrere in prigione soli 23 giorni.

martedì 6 luglio 2010

Uccise figlia neonata. Assolta perchè incapace di intendere e di volere

6 luglio 2010 - È stata assolta perché persona non imputabile, Morena Loprete, di 20 anni, accusata, nel processo con rito abbreviato, per l'omicidio della figlia di quattordici giorni uccisa a Catanzaro nel dicembre del 2008. La sentenza è stata emessa stamani dal giudice per le udienze preliminari del Tribunale di Catanzaro, Gabriella Reillo, che ha disposto per la donna il ricovero per tre anni in una struttura sanitaria che non sia un ospedale psichiatrico. Nel marzo scorso Morena Loprete era stata sottoposta ad una perizia dalla quale era emerso che era incapace di intendere e di volere al momento del fatto. Successivamente il pubblico ministero aveva chiesto l'assoluzione dell'imputata. L'omicidio avvenne dopo un violento litigio che la donna ebbe con il marito per futili motivi. Morena Loprete uccise la figlia scaraventandola a terra.

La cortina di pizzo, terza parte

Di nuovo, vorremmo confrontare due casi di infanticidio, il primo dei quali commesso da un uomo e il secondo da una donna. Abbiamo a tal scopo cercato di riportare il giudizio delle persone selezionando due articoli che riteniamo emblematici a riguardo

Ugento (Lecce): la popolazione chiede giustizia dopo l’omicidio del piccolo Stefano

A Torre San Giovanni, località marina nel comune di Ugento, in provincia di Lecce, tutti gli abitanti hanno condannato duramente l’omicidio di Stefano, un bambino di appena due anni, ucciso dal proprio padre. «Speriamo che viva. Deve scontare in carcere ogni giorno della sua vita, macerarsi nei sensi di colpa. Solo così la morte del piccolo Stefano potrà trovare giustizia». È questo lo stato d’animo della popolazione, come ha scritto La Repubblica il giorno dopo l’assassinio compiuto da Giampiero Mele. L’uomo ha infatti ucciso il figlio dopo un litigio con la compagna, con cui i rapporti erano sempre più vicini alla rottura definitiva.

L’efferato omicidio ha destato dunque profonda indignazione nella comunità. Un suo vicino di casa, Adriano Brigante, ha dichiarato a Repubblica: «Non lo incontravo più da anni, ma da piccoli giocavamo insieme a pallone. Non sapevo più nulla di lui, neanche che avesse un figlio ed una compagna, ma non lo avrei mai ritenuto capace di un gesto simile».
Questo riguardava il caso di un padre che ha ucciso il proprio figlio. Il successivo concerne invece l'omicidio di due bambini ad opera della loro madre, attualmente agli arresti domiciliari

Dietro la triste vicenda di Vanessa Lo Porto

Venerdì 23 aprile, con il nostro giornale già in fase di stampa, si è consumata a Gela una delle più terribili tragedie, forse l’unica di questo genere, che la storia della città ricordi. Una giovane madre – Vanessa Lo Porto, di 31 anni, separata da alcuni mesi dal marito – ha trascinato in mare i suoi due bambini, Giuseppe Rosario di 9 anni, e Andrea Pio di appena 2 anni. Sono morti entrambi, inghiottiti dal mare di Manfria. La madre, che voleva morire con loro, si è fatalmente salvata, subendo in tal modo la punizione più atroce di qualsiasi condanna penale.

Fuori di sé, aggredita dalla solitudine e schiacciata dal peso divenuto insopportabile dopo la separazione coniugale, Vanessa Lo Porto non ha retto e il suo equilibrio mentale, minato da tempo da troppi problemi familiari, è divenuto facile preda dello sconvolgimento della ragione. Si è detto che alla base dell’insano gesto della donna sia stato provocato dal timore che il figlio piccolo, come il primogenito, fosse affetto da autismo. Troppo sbrigativo spiegare il tutto con questo. Lo hanno smentito persino i familiari, che hanno hanno piuttosto rimarcato l’attenzione e l’affetto di cui i due piccoli erano sempre circondati. Più probabile che il disperato gesto di Vanessa Lo Porto sia stato l’effetto della deflagrazione devastante in una testa e in un corpo imbottiti di una miscela esplosiva, fatta di solitudine e non solo. Certamente dalla presa d’atto del fallimento totale di una vita ancora giovane e fragile. Troppo fragile per sopportare un tale carico di problemi, forse anche quelli derivanti da tare ereditarie, di cui si è parlato anche in sede di indizi sommari di tipo psichiatrico.

“Nessuno può esprimere giudizi, né condanna, tantomeno puntare il dito. Non sappiamo cosa passa per la mente umana quando si vive un disagio. Sono state dette tante stupidaggini in questa vicenda, viaggiati anche via internet. Bisogna starsene zitti. Il giudizio spetta solo a Dio”.

Sono le parole dure pronunciate durante l’omelia da padre Enzo Romano, il parroco di San Rocco, dove si sono svolti i funerali di Andrea e Giuseppe. “Questi piccoli martiri stanno accanto a Dio. Siamo qui per pregare, non condannare”, ha detto il prete in una affollata chiesa.

La chiesa di San Rocco era già gremita di fedeli, parenti, vicini di casa del quartiere Cantina sociale due ore prima dei funerali. Al centro della sala le due bare bianche. Dentro i corpicini di Giuseppe e Andrea, i fratellini uccisi dalla madre venerdì mattina. Tanti fiori bianchi, come erano bianchi gli abiti talari dei preti: don Enzo Romano, il parroco della chiesa, don Giuseppe Fausciana, don Angelo Strazzanti e don Lino Di Dio. Anche tante autorità.

All'esterno della parrocchia una gigantografia con tanti palloncini bianchi, fatto preparare dai familiari della donna, che ha provocato imbarazzo e qualche polemica sotto voce: raffigura le foto dei due bimbi e la scritta "La nostra mamma ci ha riservato un futuro migliore".

Alla cerimonia c’erano i genitori e i fratelli di Vanessa Lo Porto, Grazia, Morena e Angelo, il marito separato Marco D'Augusta, 38 anni. Assente invece la mamma dei due bimbi che da ieri è agli arresti domiciliari in una clinica di riabilitazione neuro-motoria di Troina, in provincia di Enna. Al di là dei risultati delle indagini che gli investigatori hanno già avviato, resta lo sgomento di una comunità, abituata finora a ben altre morti violente. E la riflessione secondo cui – come scrive Luciano Vullo nel commento qui a fianco – viviamo in una società in preda ad una solitudine di massa, di cui siamo allo stesso tempo vittime e carnefici.

lunedì 5 luglio 2010

Le sue bugie hanno rovinato la vita di un uomo: niente carcere

Un’immagine della calunniatrice all’ingresso del tribunale
29 maggio 2010, Londra - Una donna che ha ammesso di aver calunniato un uomo ha evitato ieri il carcere. Il giudice l'ha condannata a 16 mesi con pena sospesa.

La calunnia risale a vent'anni fa, quando all'età di 14 anni la signora ha falsamente accusato un uomo di violenza sessuale. Quest'ultimo ha scontato per questo 15 mesi in un carcere adibito alla detenzione degli stupratori, e ha perso il suo lavoro come conseguenza della condanna.

Il giudice Nic Madge ha dichiarato che "le false accuse aggravano la situazione di donne e ragazze che hanno veramente sofferto di abusi sessuali" prima di emettere la sua sentenza.

sabato 3 luglio 2010

Accusa l'ex datore di maltrattamenti, ma era una calunnia: denunciata

Lucca, 30 giugno 2010 - Una giovane barista è stata denunciata alla procura della Repubblica per calunnia.

L'ironia della sorte ha voluto che la prima denuncia partisse proprio dalla ragazza, che aveva asserito di essere stata maltrattata dal proprietario del locale nel quale lavorava da circa quattro mesi. Le indagini, eseguite dalla Squadra Mobile di Lucca hanno portato a galla la verità.

La donna non era stata assolutamente strattonata, né malmenata. La sua denuncia contro l'ex datore di lavoro sapeva di una vera e propria ripicca in seguito ad un licenziamento. Gli agenti, dopo aver ascoltato alcune colleghe della giovane "menzognera", l'hanno denunciata per calunnia.

venerdì 2 luglio 2010

Ancora false accuse di violenza sessuale

1 luglio 2010, Arizona - Una donna di Surprise è stata denunciata per aver falsamente accusato l'ex ragazzo di averla rapita e stuprata; nella vicenda, coinvolte anche due amiche della donna, che avrebbero corroborato la sua versione dei fatti, poi risultata falsa. L'uomo è stato arrestato e poi rilasciato dopo che la polizia ha verificato l'inattendibilità della versione della donna.