«Sono sempre state fantasiose, si sono condizionate l’un l’altra» hanno detto il padre e la madre, nel tentativo di difendere i parenti accusati del crimine più infamante che si possa pensare. Per anni sono stati additati come i mostri di Vercelli, prima della sentenza di assoluzione in cui i giudici hanno dato ragione ai periti: le tre sorelle non sono state toccate neanche con un dito.
Il modo di procedere segue un copione altrettanto violento quanto la presunta violenza denunciata: intanto si manda in galera l’accusato, lo si dà in pasto all’opinione pubblica, poi si vedrà se è davvero colpevole. Sembra quasi che il giudice debba fare ammenda di un atavico senso di colpa, per il quale la nostra civiltà non avrebbe sufficientemente protetto, nella sua storia millenaria, le donne. Insomma, meglio credere sempre a quello che dice una donna: se è una bugiarda poi si vedrà.
Ho sempre pensato che è sbagliato sbattere una persona in carcere quando questo è considerato ancora un PRESUNTO colpevole, lasciandolo impazzire dietro le sbarre in attesa di giudizio.
RispondiEliminaLo si mette alla gogna ancora prima di ACCERTARNE la colpevolezza, o l'innocenza.
Assurdo che possa bastare un'accusa o una frase ambigua di una ragazzina per macchiare la vita di una persona.