- le imprese assumono poco volentieri donne a rischio maternità (per questo occorrerebbe una politica di incentivo per quelle aziende che assumono neo-madri)
- la donna, volente o nolente, è spesso obbligata a sacrificare la propria carriera in nome della casa e della famiglia
- le qualifiche femminili sono spostate su settori tradizionalmente meno vantaggiosi da un punto di vista salariale, quali quello educativo-scolastico (non universitario) e dell'assistenza psicologica; se si vuole ridurre il gap salariale, queste posizioni andrebbero incentivate
giovedì 9 settembre 2010
Rettifica all'articolo precedente (o meglio, considerazioni sul ruolo della donna nella società attuale)
Sono arrivate critiche riguardanti questo articolo sul Sole 24 Ore. Ci teniamo a precisare che in questa sede non intendiamo assolutamente fare del negazionismo riguardo la segregazione della donna in ambito lavorativo: la discriminazione obiettivamente esiste, una donna in media percepisce un salario che è il 54% di quello di un uomo (dati OCSE), e così via. Quella che ci premeva smontare è la calunnia femminista secondo cui gli stipendi delle donne sono più bassi a parità di mansioni e qualifica, cosa che in un'economia libera implicherebbe un tasso di occupazione femminile vertiginosamente più alto rispetto a quello maschile (a un'impresa converrebbe assumere solo donne visto che costano di meno). In realtà, il gap salariale è dovuto (per forza di cose, stando ai dati della Bocconi) al fatto che le donne vengono segregate in posizioni lavorative meno remunerative, anche a causa dei seguenti fatti
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